A Mosca Assad c’è ma non si vede

Il dittatore siriano racconta la sua fuga. Il Cremlino lo ospita, ma non parla in pubblico di Siria e del suo alleato

Il capo del Cremlino, Vladimir Putin, oggi ha parlato come ogni fine d’anno, di fronte al Consiglio del ministero della Difesa. L’incontro serve a delineare le sfide concluse e quelle che verranno, in termini di sicurezza, e oltre a Putin prende sempre la parola il ministro della Difesa. Per la prima volta dopo dodici anni, non è stato Sergei Shoigu a rivolgersi alla platea ristretta, ma Andrei Belousov, chiamato a maggio nel vivo delle epurazioni dentro al ministero della Difesa con la fama di essere un ottimo contabile. Belousov ha detto che è arrivato il momento di prepararsi a una guerra contro l’Alleanza atlantica, ha valutato positivamente l’avanzata dell’esercito russo in Ucraina, ma ha detto che Mosca deve essere pronta a qualcosa di diverso, più grande, più forte, e lo ha detto nonostante da tempo ormai la Russia affermi di condurre una guerra non contro Kyiv ma contro la Nato. Anche il capo del Cremlino ha parlato a lungo di Ucraina, ma a nessuno, durante l’incontro, è scappata la parola “Siria”. Quasi in contemporanea, mentre Putin era riunito con i suoi per discutere dei successi militari di Mosca contro Kyiv, il dittatore siriano Bashar el Assad ha per la prima volta mandato un comunicato, pubblicato sul sito della presidenza siriana, per raccontare la sua versione della fuga: Assad è in Russia con la famiglia, ma nessun funzionario russo lo ha voluto confermare.



Assad racconta: “Sono rimasto a Damasco a svolgere i miei doveri fino alle prime ore di domenica 8 dicembre”. Poi si è messo nelle mani dei russi, è andato nella base di Latakia per gestire le operazioni militari e, quando sono crollate tutte le linee difensive, Mosca si è occupata della sua evacuazione per “motivi di sicurezza”. “Le dimissioni o la richiesta di asilo non sono mai state un’opzione”, scrive che il suo impegno presidenziale rimane mentre denuncia che la Siria è ormai nelle mani dei terroristi. Nessuno dal Cremlino aveva annunciato ufficialmente la presenza di Assad in Russia, alcune fonti anonime avevano assicurato alla stampa che il dittatore fosse ormai a Mosca assieme a tutta la sua famiglia, ma la conferma ufficiale è stata lasciata al dittatore, mentre per le autorità russe la crisi siriana rimane ancora qualcosa da nascondere, un fallimento da non ammettere. Soltanto oggi il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov ha affermato che Mosca deve decidere cosa fare con la base navale di Tartus e la base aerea di Khmeimim, e per quanto il ministero degli Esteri abbia detto di aver attivato i contatti con i ribelli che hanno preso il controllo della Siria, parte del personale è stata già evacuata. La sconfitta per la Russia è sonora e il Cremlino cerca di nasconderla. Il giornalista della Bbc Steve Rosenberg, dopo ore davanti alla televisione russa, ha notato che il Primo canale della tv russa, durante il programma dedicato all’attualità, ha mandato in onda un servizio sulla Siria soltanto dopo quarantacinque minuti. Senza menzionare la presenza di Assad in Russia, il filmato accennava appena alla presenza delle basi russe in Siria ma si concentrava su altro: “La nostra priorità è la sicurezza dei russi ancora in Siria. Sono stati stabiliti contatti in merito con i leader dell’opposizione armata. Finora da entrambe le parti, reciproca moderazione”. La linea ufficiale punta a raccontare la presenza della Russia come una forza stabilizzatrice contro gli estremismi, a rivendicare la lotta contro lo Stato islamico, ma prende anche le distanze dalla sorte di Assad.



Non è la prima volta che Mosca accoglie un suo uomo. Dopo le proteste del 2014, quando in Ucraina la rivoluzione della dignità era riuscita a costringere l’allora presidente Viktor Yanukovich a dimettersi, il Cremlino organizzò la sua fuga attraverso la Crimea occupata, dopo che, secondo il servizio di frontiera ucraino, l’ex presidente aveva già cercato di lasciare il paese con un volo dalla regione di Donetsk. Dal momento in cui Yanukovich arrivò in Russia, continuò e continua tuttora a proclamarsi il legittimo presidente dell’Ucraina. Alle porte di Kyiv aveva una villa stravagante, dopo la sua partenza, gli ucraini andarono a visitare i lussi e le amenità dell’ex presidente, un po’ come i siriani sono andati a curiosare tra i marmi di Bashar el Assad. Ospitare gli alleati che non sono stati in grado di farcela da soli è una consuetudine del potere russo, ma la presenza di Yanukovich a Mosca non era stata nascosta, del dittatore siriano invece i funzionari russi preferiscono non parlare. La distanza serve anche a conversare con l’altra parte, con i ribelli da cui dipende la presenza russa in Siria che per il Cremlino è ben più importante dell’amicizia con Assad. In Ucraina i piani di Mosca erano diversi e nel 2014 il Cremlino pianificava già l’invasione su larga scala per sottomettere Kyiv.

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull’Unione europea, scritto su carta e “a voce”. E’ autrice del podcast “Diventare Zelensky”. In libreria con “La cortina di vetro” (Mondadori)

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