Soldi e inviti. Zuckerberg e Bezos si riaccreditano presso Trump, che detestavano

Da anni i due sono gli spauracchi di quel pezzo di destra che vede nel Big tech dalle simpatie liberal il nemico da eliminare, o quanto meno correggere. Ora vogliono seguire il modello di Elon Musk che ha investito nella campagna elettorale del tycoon ed è premiato dalla Borsa

A poco più di un mese dalle elezioni statunitensi, il settore tecnologico continua il suo avvicinamento politico – ed economico – al presidente eletto Donald Trump. Questa settimana praticamente tutti i leader del Big tech hanno annunciato una donazione per l’inaugurazione del secondo mandato trumpiano, a partire da Meta e Amazon. Questa apertura segna un cambiamento di approccio radicale rispetto al 2016 (ma anche al 2020), quando il settore si dimostrò molto più freddo e impacciato nei confronti di Trump. Il 2024 dipinge invece un mondo diverso, nel quale personaggi come Elon Musk e Marc Andreessen (uno dei capi dell’influente fondo d’investimenti a16z) passano giornate intere a Mar-a-Lago, con in particolare il primo a fungere da consigliere del Principe.

Dietro ai movimenti di Meta e Amazon, che doneranno un milione di dollari ciascuna per il grande evento, ci sono due persone che in passato hanno avuto un rapporto travagliato con Trump, e ora vogliono recuperare. Da anni ormai Mark Zuckerberg e Jeff Bezos sono gli spauracchi di quel pezzo di destra che vede nel Big tech dalle simpatie liberal il nemico da eliminare, o quanto meno correggere. Pochi mesi fa, nel suo libro fotografico pieno di immagini trionfali e pensieri sparsi, Trump accusò Zuckerberg di aver cospirato contro di lui nel 2020, e minacciò di mandarlo in prigione “a vita”. Nel 2019 Aws, la divisione cloud di Amazon, perse in favore di Microsoft un appalto da dieci miliardi di dollari per il Pentagono, e reagì accusando direttamente Trump di aver voluto punire Bezos, anche in quanto proprietario del Washington Post. Un precedente con cui è più facile interpretare la decisione, presa quest’anno dello stesso giornale, di non pubblicare un endorsement per nessuno dei candidati alle presidenziali. Secondo alcuni, la redazione aveva già preparato una bozza di articolo di sostegno alla candidata rivale, Kamala Harris, ma Bezos avrebbe bloccato il tutto. L’appeasement viene da lontano.

Il modello da seguire è quello di Elon Musk, che ha investito almeno duecento milioni di dollari in vari comitati per l’elezione di Trump, ha vinto e si è trasformato nell’ombra del presidente eletto, cosa che ha senz’altro aiutato le sue aziende in Borsa. In questi giorni il patrimonio di Musk ha toccato i 400 miliardi di dollari di patrimonio, un record storico che di fatto supera il pil di molte nazioni. Soprattutto Musk può fare molto male alla concorrenza, sia per quanto riguarda il settore social sia quello aerospaziale, di cui fanno parte sia la sua SpaceX sia la Blue Origin dello stesso Bezos, che da tempo si scontrano anche pubblicamente.

Questa inversione da parte di Zuckerberg e Bezos non dev’essere stata senza traumi, e resta da capire che effetto avrà sui loro dipendenti. Questa settimana Timnit Gebru, ex ricercatrice di Google che afferma di essere stata licenziata per le sue opinioni sull’azienda in fatto di AI, ha scritto un editoriale sul New York Times dove auspica una ribellione dei dipendenti del Big tech contro la collaborazione con il settore militare (come fatto da OpenAI recentemente) e la perdita di ideali nel settore. E’ ancora presto per sapere se la ribellione ci sarà ma nel frattempo ci pensano i ceo a tranquillizzare gli animi. A un recente evento, infatti, Bezos ha raccontato di aver incontrato Trump e di averlo visto diverso, si è detto pronto a collaborare per ridurre la regolamentazione negli Stati Uniti, bestia nera del Big tech (e non solo): “Se posso aiutarlo a farlo, lo farò”.

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