I dati dell’economia siriana dopo quasi 14 anni di violenze e tagli ai sussidi, mentre il regime si faceva ricco con il Captagon. La corruzione è un pilastro delle autocrazie, e le tiene legate. Servono 400 miliardi per ricostruire il paese del dittatore che-garantiva-stabilità
L’economia siriana valeva 67,5 miliardi di dollari nel 2011, quando Bashar el Assad iniziò la repressione del suo popolo: era al 68esimo posto nella classifica del pil di 196 nazioni, come la Slovenia. Nel 2023, era pari a 9 miliardi di dollari, l’85 per cento in meno in dodici anni, secondo le stime della Banca mondiale, come il Ciad. Nel frattempo 4,82 milioni di siriani sono scappati, un quinto della popolazione, e ci sono circa 7 milioni di siriani sfollati internamente, il 30 per cento del totale.
Le bombe di Assad hanno devastato le infrastrutture, acqua ed elettricità non c’erano quasi mai: se si guardavano le immagini satellitari della regione di notte, la Siria era scura, al buio, come la Corea del nord. La lira siriana si è svalutata enormemente, in un documento pubblicato a giugno dal Syrian Center for Policy Research, c’erano spiegate le conseguenze di una “iperinflazione” cronica (al 140 per cento nel 2023, era al 5,8 nel 2011), i due settori principali dell’economia – petrolio, che valeva il 25 per cento delle entrate dello stato nel 2010, e agricoltura: il 25 per cento dei terreni coltivabili non c’è più – sono collassati.
Lo stato ha adottato una politica di austerità, mentre rimpolpava le sue casse trafficando nella “eroina dei poveri”, il Captagon, un business globale da 57 miliardi di dollari, secondo le stime del Regno Unito: la Siria ne produce l’80 per cento. Le spese dello stato si sono ridotte, dal 2010 al 2023, dell’87 per cento, compresi i sussidi che sono passati dal 42 al 19 per cento del budget. Un siriano su quattro è in “povertà estrema”, il 90 per cento della popolazione è sotto la soglia della povertà, che vuol dire avere a disposizione meno di due dollari e mezzo ogni giorno. Secondo il World Food Program, 13 milioni di siriani soffrono “una fame estrema”.
Peter Harling, fondatore di un centro di ricerca chiamato Synaps Network, ha pubblicato su X alcune foto scattate negli ultimi mesi in Siria a testimonianza di una “povertà endemica, in continuo peggioramento e ignorata”. C’è una lampadina fioca, che è in realtà un lusso per i siriani: l’elettricità non è del tutto assente, ma “rara, improvvisata, inaffidabile, costosa e minacciosa, come qualsiasi altra cosa”. Il gas per far funzionare i fornelli è un altro lusso: non si compra nelle bombole, ma al chilo, dovendo quindi creare accessi precari e pericolosi, tant’è vero che i fornelli non si usano più. Nemmeno il cibo è del tutto assente, solo che non è accessibile, perché costa troppo: frutta e carne sono diventati tabù, ma pure lo yogurt e l’olio sono spesso troppo cari, se ne comprano quantità minime, in sacchettini di plastica da centellinare in famiglia. Gli esempi sono infiniti, secondo Harling sono la dimostrazione che anche la povertà e la fame – oltre alle bombe, alle torture, alle sparizioni – hanno contribuito all’avanzata fulminea delle forze di Hayat Tahrir al Sham che ha costretto Assad alla fuga (un dettaglio su quanto è stata precipitosa questa fuga riportato dalla Reuters: Assad aveva chiamato a palazzo Bouthaina Shaaban, la sua capa della comunicazione che ha ammaliato con le sue menzogne mezzo mondo dell’informazione, per farle scrivere un discorso. Quando lei è arrivata, lui era già scappato).
In questi giorni, i saccheggi dentro al palazzo presidenziale hanno svelato i lussi del dittatore “sobrio” che non ostentava la sua ricchezza: come ripete sempre Anne Applebaum, la corruzione è uno dei pilastri dei regimi, e anche quella che tiene insieme i regimi tra di loro. Il dipartimento di stato americano ha scritto in un report del 2022 che il sistema di aziende fasulle, per lo più gestite dalla moglie di Assad, Asma, “serve come strumento per il regime per accedere alle risorse finanziarie attraverso strutture societarie ed entità senza scopo di lucro apparentemente legittime”, riciclando denaro “da attività illecite e convogliando fondi al regime”: l’affare più redditizio è il Captagon.
Ieri, nel primo venerdì dalla caduta del regime, le strade e le piazze delle grandi città si sono riempite di gente, c’era il divieto di sparare in aria come ha chiesto il nuovo governo fin dal suo arrivo a Damasco, e sembrava davvero una festa liberatoria. Il leader di Hts, Ahmed al Sharaa (fino a poco tempo fa si faceva chiamare Abu Muhammad al Julani), ha tenuto il discorso del primo venerdì libero, camicia bianca e gilet, e ha chiesto a tutti di partecipare alla ricostruzione della Siria. Servono, dicono le stime, 400 miliardi di dollari, per rimettere insieme un paese distrutto da un dittatore che si arricchiva vendendo una droga pericolosissima (e per di più usata dai più poveri) e condannava il suo popolo alla fame. Per molti leader occidentali, era un regime solido, garanzia di stabilità.