Il libro dell’argentina Esther Cross racconta la storia della scrittrice inglese in modo espressionistico e non esattamente cronologico, così i piani si confondono come gli amori, come le nascite e le morti
Era la figlia di due grandi personalità, Mary Wollstonecraft, fondatrice del femminismo liberale, e del politologo William Godwin. Avrebbe sposato il più romantico fra i poeti romantici inglesi, Percy B. Shelley, e ha avuto con lui quattro figli di cui uno solo le sopravvisse. “Mary Shelley, la donna che scrisse Frankenstein” libro dell’argentina Esther Cross tradotto da Serena Bianchi per La Nuova Frontiera, non è stata certamente una persona rassicurante. La madre morì di setticemia dieci giorni dopo la sua nascita, e Mary fu segnata dall’ossessione per morte e cimiteri tutta la vita. Del resto aveva 12 anni quando il padre pubblicò Il saggio sui sepolcri che divenne il suo libro preferito. Era innamorata del padre e prese male la sua decisione di risposarsi con una vicina di casa, pur gridando ai quattro venti quanto Wollstonecraft fosse eccezionale e insostituibile. Ma la signora Clairmont la sostituì e per fortuna aveva una figlia, Claire, che divenne la migliore amica di Mary.
Mary cresceva intanto libera e spregiudicata. Nata il 30 agosto 1797, in un’epoca di grandi esperimenti medici. I cimiteri venivano presi d’assalto di notte da “tombaroli” che poi vendevano a caro prezzo a chirurghi e scienziati vari le loro riesumazioni. Mary andava di giorno a leggere sulla tomba della madre e a curiosare fra le lapidi e fu durante una di queste passeggiate al cimitero di Saint Pancras che incontrò il grande amore nella persona del delicato, bellissimo e matto come un cavallo Percy Bysshe Shelley. Lei ha 16 anni, lui 22 ma è già sposato con figli. Niente li ferma. Hanno entrambi una mentalità stravagante, anticonformista e atteggiamenti pre-hippy potremmo dire: libero amore e voglia di vagabondare per il mondo. Perché non si dovrebbero amare due donne (o due uomini) contemporaneamente?
La moglie di Shelley, Harriet, non è per niente d’accordo. Si rifiuta di partire con loro e finirà l’esistenza suicidandosi. Ma Mary e Percy se ne vanno eccome, e non da soli. Li segue Claire Clairmont che intanto ha una storia con Byron (grande poeta, grande amico di Shelley, grande seduttore) e ne resta incinta. Né rifiuta i suoi favori allo stesso Shelley, come probabilmente Mary non si rifiuta ad altri sedotti e ammiratori della coppia che s’aggiungono alla carovana che attraversa Francia, Svizzera e Italia non si sa bene con quali risorse economiche. Di soldi, infatti, erano sempre a corto, ma non di laudano…
Tutto ciò viene raccontato da Esther Cross in modo espressionistico e non esattamente cronologico, così i piani si confondono come gli amori, come le nascite e le morti. Finché nel 1816 Shelley, Mary e Claire affittano una casa sul lago di Ginevra, vicino a Villa Diodati dove vivevano Byron e il suo dottore, John Polidori. “Trascorrevano i pomeriggi di pioggia presso la casa di Byron a discutere dei misteri della vita, a leggere storie tedesche del terrore”. Finché si sfidano a scriverne loro e fu da quella sfida che nacque il Vampiro di Polidori, prototipo di una ricca futura schiera, e il mostro senza nome creato da uno di quegli scienziati sperimentatori che andavano tanto di moda: il dottor Victor Frankenstein. Mary ha 18 anni. Quando l’anno dopo pubblica il libro, “Frankenstein” è un successo clamoroso (500 copie vendute!) e, soprattutto, inarrestabile. Magra consolazione per lei, destinata a perdere il compagno quattro anni dopo, durante una sciagurata gita in barca a Lerici in cui non lo aveva seguito. Come scrive Cross: “(P.B. Shelley) partì per un viaggio, simbolo del romanticismo, su una barca, simbolo del viaggio. E affondò”. Ma con lui affondò anche Mary pur se destinata a vivere fino al 1851, sola (tutti i suoi vecchi amici erano morti) e circondata dal discredito per la vita dissoluta che aveva condotto.