Dopo appassionate ricerche fra i collezionisti, riemerge la voce del cantautore livornese grazie al ritrovamento di materiale inedito. Tra voce incerta e baruffe con il proprio io
Il riemergere della viva voce di un artista ormai domato dalla sorella morte ha qualcosa di miracoloso. Certamente siamo abituati ai dischi e ai libri che continuano a uscire oltre la vita dei loro autori, ma il ritrovamento di undici canzoni inedite e mai udite di Piero Ciampi è cosa “rara come una sorpresa”, equiparabile alla scoperta di un reperto archeologico o al rinvenimento di un importante manoscritto in un archivio.
Figlio non riconosciuto di Livorno (come Modigliani, del quale fu un postumo dirimpettaio), esule a Parigi e poi ramingo in molte parti d’Europa, avendo fatto suo l’orrore del domicilio di Baudelaire, chiuse il gioco d’azzardo con la vita in un letto d’ospedale romano, chiedendo come ultima volontà un fiore e un bicchiere di vino. Era il 1980. Da allora la sua voce è stata inghiottita dal silenzio. In seguito solo compilation, best of, ristampe, omaggi e altre rimasticazioni con l’aggiunta qua e là di rari singoli inediti. Il ritrovamento di materiale inedito inciso da Ciampi, effettuato grazie a pazienti e appassionate ricerche tra i cimeli di collezionisti da Enrico de Angelis, che aveva già dedicato diversi lavori al cantautore, e pubblicato poi con acribia dall’editore Squilibri in un raffinato booklet, si configura quindi come l’aggiunta di alcuni nuovi dipinti autografi al corpus di un pittore, permettendo di comprenderne meglio l’opera nella sua frammentaria interezza. Chansonnier alla Brassens, anarchico sulla scia di Léo Ferré, malinconico come Tenco e Lolli, ma anche ironico, caustico, attoriale e irriverente come Paolo Conte o Remo Remotti, Ciampi è stato il più libero, bohémien, sgangherato, originale e poetico dei cantautori italiani.
“Siamo in cattive acque” si intitola questo nuovo doppio disco, che oltre agli undici inediti contiene anche ventuno brani già noti ma con delle varianti nella musica o nelle parole. Questo il titolo che Ciampi aveva vergato a corredo della tracklist del disco, sulla piccola agenda telefonica rinvenuta. Dall’acqua sporca d’altronde si alzava già quell’ode disperata e commovente al vino, “e in mezzo all’acqua sporca/godo queste stelle/questa vita è corta/è scritto sulla pelle”, e in cattive acque si rimestano questi nuovi vecchi canti, dove tra la solitudine e la malinconia, si leva una voce sempre incerta, interrotta, sfibrata, ciarliera, che tra pause e ricominciamenti, soliloqui e baruffe con il proprio io, si accende in improvvisi sprazzi di chiarezza e slanci vitali elegiaci, deflagra in un “merda!” o fiorisce in versi spiazzanti. Bisogna prendersi circa due ore di tempo per ascoltare questo prezioso disco che è uscito solo in versione fisica, mettersi comodi e prestare orecchio alla voce che fuoriesce dalla fessura delle casse e del tempo, a volte gracchiante e lontana, perché le bobine originali sulle quali era stato fissato il suono non versavano sempre in condizioni ottimali, ma ciò acuisce maggiormente il fascino e la sensazione di entrare in contatto mesmerico con un Ciampi redivivo.
Nelle bellissime foto di Uliano Lucas contenute nel libretto, tra le quali ci sono anche degli originali collage dal gusto dadaista di Daisy Jacuzzi, vediamo un giovane Ciampi con quella faccia un po’ così, sfacciata e dolce, guascona e timida, educata e irriverente, tipica dell’uomo che era solito inebriarsi di vino e consumarsi nel fumo, alternando la crapula alla miseria, come un personaggio di Joseph Roth (il protagonista della Leggenda del santo bevitore). Esemplare la fotografia che lo ritrae con un sorriso beffardo, mentre mima il gesto dell’ombrello. La vita, sembra dirci, è una fottitura, facendo eco a un capriccio di Goya, ma lui non ha ceduto troppo alla tentazione di esistere, ha goduto un po’, ha scritto versi, sotto a un ponte o in un bar, ha cantato canzoni, ma poi ha interrotto la sua esistenza, lasciando brani e progetti incompiuti. Questo nuovo lavoro restituisce qualcosa di quel non detto, dell’interrotto di uno che aveva tutte le carte in regola per essere un (grande) artista, e non mi pare cosa da poco.