A causa delle minacce e pressioni, una kermesse cinematografica in Belgio annulla la proiezione di un documentario su palestinesi transgender in fuga verso Tel Aviv. Un tratto ormai tipico di certi ambienti, dove l’odio per Israele è ormai un prerequisito
Prima la partita di calcio fra Israele e Belgio cancellata. Poi la squadra giovanile di frisbee israeliana cacciata. Ora un festival cinematografico, sempre in Belgio, che annulla la proiezione di un documentario sui palestinesi transgender a causa delle minacce. Il Cinemamed Film Festival ha annunciato che non avrebbe proiettato “La Belle de Gaza” di Yolande Zauberman. L’annullamento è stato il primo nei trent’anni di storia del festival. Il gruppo di attivisti “Brussels Against Genocide” aveva chiesto il boicottaggio. Il film, che racconta l’esperienza delle persone transgender fuggite da Gaza per vivere a Tel Aviv, “fornisce una rappresentazione orientalista e disumanizzante dei palestinesi, in particolare di quelli di Gaza, che sono uniformemente descritti come anti gay”, ha affermato il gruppo. Dunque, visto che a Gaza gli omosessuali volano giù dai tetti, è bene che imparino a volare perché di loro non si deve parlare. La telecamera della regista francese segue la storia di una transgender fuggita da Gaza per stabilirsi a Tel Aviv. Uno dei tanti Lgbt scappati dai territori palestinesi per trovare riparo in Israele.
Ma in certi ambienti di estrema sinistra, l’antisionismo e l’odio verso Israele sono ormai prerequisiti. Persino in un festival cinematografico Lgbt, e non solo in Belgio. Questo è ciò che ha appena sperimentato l’attivista Julia Layani, invitata nella giuria del festival cinematografico francese Chéries-Chéris. La donna è stata esclusa per il semplice motivo che è ebrea e voleva discutere della sorte degli ostaggi israeliani a Gaza. Layani sarebbe una “sionista di estrema destra”. Durante la serata di premiazione, un giurato ha detto a tutti: “Se ci sono sionisti, sarebbe bello saperlo!”. Julia, stupita, resta in silenzio. Il giorno della cerimonia di chiusura del festival, gli organizzatori hanno rifiutato di menzionare gli ostaggi con il pretesto che “non è questo l’argomento”, anche se i membri della giuria avevano programmato di parlare della situazione a Gaza, Libano e Iran. A Julia è stato anche proibito di salire sul palco. Cosa che però finisce per fare, impugnando il microfono per denunciare gli attacchi e i tentativi di intimidazione di cui è stata bersaglio. Allertata della situazione, la regione Île-de-France ha annunciato che avrebbe sospeso il suo sussidio al festival.
Stessa condanna da parte del ministero della Cultura: “Le pressioni a cui è stata sottoposta Julia Layani a causa della sua confessione religiosa è un grave attacco ai valori della nostra Repubblica”. Interrogata, anche la catena di cinema Mk2 ha espresso la sua “indignazione”, assicurando che “difenderà sempre la pluralità di punti di vista”. Solo che non tutti i “punti di vista” sono uguali. Tra gli individui che hanno attaccato Julia Layani ci sono diverse personalità problematiche, per usare un eufemismo. A cominciare da Amandine Gay, attivista decoloniale la cui lotta contro la “bianchezza” le è valsa inviti sui media francesi. E poi Lissia Benoufella, molto attiva sui social dove lancia appelli alla decolonizzazione “dal fiume al mare”.
Qual è il legame tra la lotta per i diritti Lgbt e la difesa di Gaza? Nessuno. Ma la sinistra sembra colpita da una sorta di Grande Sostituzione militante. Presto fra i due grandi “oppressi” della religione woke occidentale, islamisti e Lgbt, inizierà la resa dei conti. E chi li aveva avvisati non potrà far altro che tirare fuori i popcorn. Buio in sala.