Chissà cosa sarebbe stato il fascismo senza il pessimo scrittore Marinetti

Il futurismo come stile e retorica. Domande sulla mostra dedicata all’avanguardia italiana

Chi pensa che una mostra dedicata oggi al Futurismo sia dovuta al potere governativo conquistato da un partito come Fratelli d’Italia, dimentica che l’avanguardia futurista è piaciuta molto e a lungo alla sinistra e alla sua cultura. Stranamente ci si è dedicati più a compiacersi del fatto che anche noi, “provinciali” e “periferici” della modernità, avevamo avuto la nostra brava avanguardia fanatica del futuro, cioè di un’entità tutta da venire e perciò largamente irreale, senza però soffermarsi sul contenuto del manifesto futurista di Marinetti. Quanto a contenuto e anche forme, Marinetti è stato uno degli inventori del fascismo come stile e retorica. Senza lo stile futuristico, senza l’ideologia che conteneva, il fascismo non sarebbe stato “formalmente” possibile, gli sarebbero mancati gestualità e carattere.

In politica, ogni partito e movimento ha bisogno di un presupposto, di un precedente nella cultura. Che cosa sarebbe stato (e ci sarebbe stato?) il fascismo senza uno scrittore come D’Annunzio, un filosofo come Gentile e un retore come Marinetti? Vanno notate anche le differenze e le incongruenze che c’erano fra questi tre produttori di cultura. Tanto per sottolineare la distanza e l’attrito più estremi, si potrebbe ricordare la definizione che D’Annunzio coniò di Marinetti (cito a memoria): “Un cretino con qualche lampo di imbecillità”. Il grande esteta, eclettico e voracissimo assimilatore di tendenze artistiche postromantiche europee, non poteva digerire l’estremismo attivistico monocorde di un pessimo, elementare scrittore come Marinetti. Ma la borghesia piccola, media o alta di primo Novecento aveva bisogno sia dello stile dannunziano che dello stile marinettiano. Sia D’Annunzio che Marinetti venivano dalla cultura europea (il primo manifesto futurista, non a caso, fu pubblicato nel 1909 a Parigi) ma la loro cultura franco-italiana agì in Italia anche in concomitanza, in aggiunta al nazionalismo.



Enrico Corradini teorizzava allora il nazionalismo scrivendo nel 1914 (cioè prima dell’entrata in guerra dell’Italia):

“Le nazioni sono sorte perché hanno avuto un antagonista, e di certo quel modo, altro non è se non un consolidamento di uno stato di guerra permanente delle une contro le altre”. E poi più volgarmente: “L’uomo o sta in piedi per lottare, o giace cadavere e s’invermina (…) il nazionalismo è oltre il resto anche un ritorno ad una concezione realistica del mondo. E i veri uomini nuovi sono realisti”.



Aggiunto ad alcuni stili culturali d’epoca come quello dannunziano, futurista e “attualistico” del filosofo Giovanni Gentile (tuttora filosoficamente apprezzato) il nazionalismo apre le porte al fascismo. Il fascismo avrà una cultura sia diffusa che autorevole, sia sofisticata che brutalmente attivistica, nella quale sembrò che ci fosse posto perfino per un Marx “superato” o riassorbito nell’idealismo di Hegel. Il colpo grosso di Gentile è l’identificazione di idea e atto, filosofia e politica, teoria e prassi, tradizione idealistica e presente politico. Nascono così l’agire filosofico e il pensare ideale in forma di attività. Scriveva Gentile nel suo I fondamenti della filosofia del diritto (1916):

“Una pace senza guerra non è possibile perché la pace non è altro che vita della volontà; la quale non può vivere se non risolvendo seco stessa, ad una ad una, in eterno le forme inesauribili dell’immanente conflitto da cui si sprigiona l’esser suo come attuazione di sé”.



Del resto, anche il poeta-esteta D’annunzio nel 1911, in occasione dell’impresa coloniale italiana in Libia, scrisse versi attivistici: “Marinai, marinai, sopra le navi / e dentro le trincee, a bordo e a terra, / in ogni rischio e con ogni arme bravi, // fatti dalla tempesta per la guerra, / nel silenzio mirabili e nel grido, / infaticati sempre, a bordo e a terra”: con l’Italia vista come erede delle storiche, “repubbliche marinare” ecc.



Marinetti, nel suo stile da manifesto, più esplicitamente aveva detto fra l’altro:

“La letteratura esaltò fino ad oggi l’immobilità pensosa, l’estasi e il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo e il pugno”.


“Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità. Un automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo […], un automobile ruggente che sembra correre sulla mitraglia è più bello della vittoria di Samotracia”.

E via di seguito peggiorando. Rileggete per credere.



C’è di che pensare, non al fascismo, ma ai fascistismi attuali e futuri: estetica, pensiero e azione. Apriamo gli occhi e guardiamoci intorno.

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