L’Italia è uno dei sette paesi dell’Alleanza atlantica in Europa che nel 2024 non raggiungeranno l’obiettivo del 2 per cento del pil, che tra pochi mesi diventerà del 3. Che fare? Una via c’è. Una chiacchierata con il ministro della Difesa e il suo predecessore
Nel dibattito politico europeo, c’è un tre per cento non meno importante rispetto a quello fissato ieri dalla Banca centrale europea, sui tassi di interesse, ed è un tre per cento che riguarda un target che la Nato intende indicare il prossimo anno quando il nuovo segretario generale, Mark Rutte, verosimilmente confermerà un’indiscrezione pubblicata ieri dal Financial Times relativa all’obiettivo dell’Alleanza atlantica di alzare l’asticella delle spese militari portandola dal due per cento attuale al tre per cento del pil di ciascun paese membro. Negli ultimi anni, complice l’arrivo delle guerre ai confini dell’Europa, ventitré paesi su trentadue hanno raggiunto l’obiettivo del due per cento nel 2024, e se si pensa che nel 2018 i paesi in grado di raggiungere l’obiettivo della Nato erano solo sei si capirà con facilità l’effetto generato dall’aggressione di Putin all’Ucraina.
Tra i nove paesi che si trovano ancora lontanio dall’obiettivo del due per cento, sette sono europei e tra questi c’è anche l’Italia, che chiuderà il 2024 con una spesa per la Difesa pari all’1,49 per cento del pil. Il caso dell’Italia è interessante perché gli inadempimenti della maggioranza non sono solo irresponsabili ma sono anche incoerenti rispetto al programma elettorale, all’interno del quale i quattro partiti che oggi guidano il paese avevano promesso che in caso di vittoria elettorale avrebbero messo al centro del proprio lavoro “il rispetto per gli impegni assunti nell’Alleanza atlantica, anche in merito all’adeguamento degli stanziamenti per la difesa”. Così non è stato. E il problema politico del nostro paese è che il tema dell’aumento delle spese nella Difesa, tema diventato centrale non solo per la minaccia rappresentata da Putin ma anche per la minaccia rappresentata da Trump, che ha annunciato non solo che l’America non darà più in futuro lo stesso sostegno dato finora all’Ucraina ma ha annunciato anche di essere pronto a disimpegnarsi dalla Nato nel caso in cui i paesi membri della Nato non dovessero pagare il dovuto per far funzionare l’Alleanza atlantica, non è un tema che si trova al centro dell’agenda né per il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, né per il suo principale oppositore ovvero Elly Schlein, leader del Pd.
Non è così per tutti, né all’interno del governo né all’interno del Pd, e le posizioni alternative, che potrebbero diventare complementari, sono quelle suggerite e indicate dal ministro della Difesa di oggi, Guido Crosetto, e dal ministro della Difesa di ieri, Lorenzo Guerini. Il Foglio ieri ha parlato con entrambi. Guido Crosetto è favorevole ad aumentare la spesa per la difesa del nostro paese a condizione però che vi siano due novità all’interno dell’Europa. La prima battaglia trasversale, sostiene Crosetto, dovrebbe riguardare lo scorporo totale delle spese della difesa dal Patto di stabilità (attualmente lo scorporo, in gergo scomputo, esiste solo per una serie di casi limitati, solo per chi si avvicina alla soglia del tre per cento nel rapporto deficit/pil, e l’aumento della spesa militare può essere uno dei fattori rilevanti che la Commissione europea può prendere in considerazione per evitare di aprire una procedura di infrazione per deficit eccessivo contro uno stato).
La seconda battaglia trasversale, sostiene ancora il ministro, dovrebbe riguardare un altro progetto: creare un meccanismo europeo in grado di garantire tassi più bassi per tutti i paesi che usano il debito pubblico per aumentare le spese militari: se tutti hanno lo stesso obbligo e se per ottemperare a quell’obbligo occorre spendere di più è lecito aspettarsi che l’Europa dia un sostegno per garantire l’emissione di quel debito. L’ex ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, condivide in linea di massima le due idee dell’attuale ministro ma aggiunge un elemento di riflessione in più, che il governo invece considera nocivo: gli Eurobond per la difesa, già proposti anche dall’ex commissario all’Economia Paolo Gentiloni.
Schema di gioco: l’Europa crea debito comune e con quel debito comune investe nella difesa per proteggere i paesi membri. “Aumentare la spesa militare – ci dice Guerini – risponde a un’esigenza oggettiva che è quella di lavorare per avere una maggiore autonomia strategica europea. E avere una maggiore autonomia strategica europea è una storica battaglia del centrosinistra, che mi auguro continui a essere considerata come tale”. Nella stagione delle minacce putiniane, investire nella difesa significa investire nella difesa della pace. E per investire nella difesa della pace chiedere all’Europa di essere più presente è saggio e necessario. Ma lo stesso dovrebbe valere quando si guarda all’Italia. E per avere più coraggio la politica italiana prima ancora di chiedere cosa dovrebbe fare l’Europa per noi forse potrebbe chiedersi cosa possiamo fare noi per proteggere noi stessi.