Gli scacchi di Ernesto Ruffini. La fronda per farlo scegliere, Meloni prudente. Franceschini: “E’ bravissimo”

Renzi gli chiede di lasciare l’Agenzia delle Entrate, ma il governo attento: “E’ abile, rischiamo di sbagliare chiedendo di smentire”. Il Pd freddo. La danza intorno al direttore santo

San Ruffini ha Dio dalla sua parte, san Ruffini (delle entrate) fa gli esercizi spirituali-politici, san Ruffini, Ernesto, fa sudare il governo Meloni. E non solo. Renzi gli dice “dimettiti dall’Agenzia delle Entrate se vuoi fare politica” e ora pure Pier Ferdinando Casini, alla Camera: “O si dimette o smentisce”. Gli uomini di Giorgia Meloni: “San Ruffini è un osso duro. Giustamente ci fa notare: ma io cosa avrei detto? Mi sono limitato a ricordare che ho sempre partecipato a eventi pubblici. E’ una guerra di nervi. Se gli diciamo smentisci, lui risponde: ‘Ah, ma allora mi volete mandare via?”. Si chiama cul de sac. Dario Franceschini, Dario Il grande, ci spiega: “Ernesto è bravissimo ma questo massacro di nomi non giova. Parlano già di Mister Tasse. Va fatto conoscere agli italiani, serve tempo”. Dario Il grande, ancora: “L’operazione centro servirebbe per prendere i voti che prende Forza Italia”. In attesa, si prega. San Ruffini, tu che togli le cartelle dal mondo, dona a noi la pace (fiscale).



San Ernesto Ruffini delle Entrate, il santo direttore, è già beato. Portare sulla terra, politica, il nuovo messaggio di centro, liberale, è purtroppo un compito ingrato. Anche lui, san Ruffini, come il Nazareno (abbiamo visto Schlein alla Camera, ormai non si separa dal suo eskimo, la sua nuova divisa, neppure quando va al cinema a vedere Almodovar) è divisivo. Rileggiamo i Vangeli. Disse Cristo agli apostoli: “Non crediate che io sia venuto a portare la pace sulla terra, io sono venuto a portare non pace ma spada”. San Ruffini sta provando sulla sua carne come si vive nella Giudea di Transatlantico. Ma San Ruffini ha già compiuto il miracolo: Rosy Bindi parla, Beppe Sala pure (“ci sarei io, per federare, non dimenticatevi di me”), Ciccio Boccia, il capogruppo del Senato del Pd, fa lo stratega, Boccia Pericle. Alla Camera (ogni venerdì passa in barberia per farsi bello, per la sua Nunzia De Girolamo) argomenta che “Elly ha tracciato una rotta precisa: le nostre battaglie sono la sanità il referendum sull’autonomia. Noi ci infileremo nelle contraddizioni tra Lega e Forza Italia, sull’autonomia”. Va bene, Ciccio Pericle Boccia, ma con Ruffini che si fa, anzi, che deve fare, dimettersi e raggiungervi? “Ah. Deciderà lui”. Insieme a Papa Augusto Minzolini, il Lenny Belardo del retroscena, sfruculiamo Casini, che ci annuncia doppia querela se osiamo scrivere che lui sogna il Quirinale, ma il Minzo pope, sa come fare, lo chiama Spider e Spider Casini accelera: “Allora, io devo dire che i quotidiani non stanno facendo un servizio a Ernesto. Adesso deve dire qualcosa di chiaro. Poi sciagura vuole che questa storia sia uscita a Natale. Grande errore”. Spider Casini racconta che lui usava questo metodo con Berlusconi: “Ogni volta che dovevo litigarci ci andavo prima delle vacanze estive e prima di Natale. I giornali, a Natale, e in estate, non avendo nulla da scrivere prendono una fantasia e montano un tormentone”. Deve spiegare tutto Casini Spider. Chiamiamo al Mef, lato Maurizio Leo, il viceministro con delega al Fisco, il buonuomo Leo, che sgrana il rosario (è sempre il rosario di Prodi, sono tutti custoditi nella fabbriceria di Marco Damilano). Dalla parte del buonuomo si registra tanto nervosismo, “ma perché il direttore non smentisce?”. Telefonata agli uomini di Giorgia, Evita Melon: “Come vi anticipavo, non si escludono le dimissioni di Ruffini, ma come gesto suo personale. A pensarci, lui si è mosso benissimo. Di fatto, se non ha detto nulla di politico cosa dovrebbe smentire? San Ruffini è astutissimo. Abbiamo le mani legate. Mi sa che il santo gioca a scacchi”. Fazzolari (serve una rubrica, “Siamo tutti fazzi di te”) mangia le mandorline. Chino sul suo bureau dove impagina giornali meglio di Mario Orfeo, di Repubblica, che ne impagina almeno due, anche due e mezzo, ecco, Fazzo pensa: “Certo che questi di sinistra sono uno spasso. Renzi che ha nominato Ruffini attacca Ruffini, Sala dice ‘ci sono anche io’, Calenda fa la guerra a Stellantis e a Schlein e infine Conte attacca Schlein”. In assenza di vere battaglie, Libero si butta sul filosofo Caffo, il Giornale su Ranucci Rai di Report. Al Senato, Dario Il grande ci fa una confidenza: “Leggo che Meloni va a elezioni anticipate. Ma quali elezioni? Una va a elezioni anticipate se si rafforza ma con i numeri che ha Meloni, cosa dovrebbe rafforzare?”. Anche perché il Quirinale, diciamola tutta, se Meloni avesse questa folle idea, farebbe: marameo! Ma San Ruffini dov’è? Dimenticavamo. Mercoledì sera ci siamo imbucati a tutte le possibili feste romane sperando di trovare san Ruffini delle Entrate, ma il Santo, evidentemente, stava facendo i suoi esercizi spirituali. Non c’era. In una, al suo posto abbiamo trovato la cantante Gaia che intonava Sesso e Samba (san Ruffini, abbiamo peccato. Eh sì). Il Pd è già mezzo brillo, e stordito da san Ruffini, ma per fortuna ci sono ancora i samaritani come l’ex ministro Pd, Graziano Del Rio. Samaritano Delrio ma c’è la mano del Pd nell’operazione Ruffini? “No, il Pd non fa alchimie, il Pd è un partito che parla già ai cattolici. Ruffini? Perché dovrebbe dimettersi”. Ma che lo spirito santo del centro possa scendere su Ruffini, e su chi ha la volontà, di prendersi i voti dell’astensionismo, questo sì, perché dice Delrio: “Io non mi rassegno a una democrazia dove vota il 30 per cento”. Leo ai suoi: “Ma ha smentito? Preghiamo”. Raccogliamoci. San Ruffini, tu che togli le cartelle dal mondo, abbi pietà di noi (giornalisti)/ perché tu solo il Santo/ tu solo il direttore/ con Franceschini, spirito santo/ nell’attesa di ricevere la Tredicesima. Amen.

Carmelo Caruso

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio

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