Il Tar del Lazio ha bloccato il progetto che avrebbe portato in vent’anni circa 800-900 milioni di metri cubi di metano. Ora bisognerà farlo arrivare dagli Stati Uniti con 3.500 viaggi in nave attraverso l’Atlantico
Il Tar del Lazio con due sentenze nimby ha annullato il via libera dato dagli scienziati del ministero dell’Ambiente e ha bloccato il progetto di una piattaforma a 23 chilometri al largo della costa emiliana e veneta per estrarre in 20 anni circa 800-900 milioni di metri cubi di metano da un giacimento che dorme a 1.300 metri di profondità sotto il fondale remoto del mare Adriatico. E’ una quantità di gas pari all’import di 3.500 navi metaniere da 250 mila metri cubi. Dicono la scienza e il centinaio di piattaforme presenti in Adriatico che, dopo 20 anni, l’estrazione avrebbe compattato il fondo del mare tra i 2 e i 6 centimetri nel raggio di 2,5 chilometri attorno alla piattaforma.
Il fenomeno si chiama subsidenza, cioè il raddensarsi del terreno. La subsidenza di alcuni centimetri in mezzo al mare è un problema, sebbene sia un problema di entità minore rispetto all’estrazione di acqua sotterranea a bassa profondità, estrazione di acqua che fu la causa della subsidenza che aveva accelerato lo sprofondare del terreno sotto i piedi di Venezia, della Romagna e del Polesine. Era acqua a uso industriale per le fabbriche di Marghera, era acqua a uso potabile e irriguo per dissetare i romagnoli. Nel caso del Polesine, la storia è diversa. Era acqua imbevibile di acquitrino, calda di fermentazione, salatissima, effervescente naturale di metano; impregnava la sabbia e il fango a poche decine di metri di profondità sotto a quel Polesine rubato alle paludi tramite la bonifica. Negli anni ’40 e ‘50 centinaia di aziende agricole e di contadini ordinavano trivellazioni dicendo che erano pozzi di “acqua irrigua”, poi veniva fatto frizzare clandestinamente il metano che era disciolto nell’acqua inutilizzabile e con quel gas povero si scaldavano abusivamente centinaia di stalle, di cascinali e di essiccatoi per il granturco.
Ancora oggi ogni tanto la Finanza di Rovigo denuncia qualcuno che, con la scusa di irrigare, estrae acqua metanifera da sotto i suoi piedi. Tolta l’acqua che lo impregnava, il terreno dell’intera regione si compattò; Polesine sprofondò fra i 3 e i 4 metri e aprì la strada all’alluvione del 1951. Cambiamo periodo e luogo. Il giacimento Teodorico – il nome è ispirato al re ostrogoto di Ravenna – è molto lontano, a 20-25 chilometri al largo di Ravenna, Comacchio, Volano e Goro, sepolto a 1.300 metri sotto il fondo dell’Adriatico. A quella profondità le sabbie sono impregnate con circa 1,8 miliardi di metri cubi di metano. Dice lo studio presentato dalla compagnia petrolifera Po Valley che in 20 anni il contenuto sfruttabile, “con limite minimo di pressione alla testa pozzo pari a 70 bar, è pari a 908,4 milioni di Sm3, corrispondente ad un fattore di recupero del 49,2 per cento”. Teodorico sarà unita con un tubo alla vicina piattaforma Naomi Pandora, collegata con Ravenna. Gli esperti della commissione di valutazione di impatto ambientale del ministero dell’Ambiente hanno esaminato il progetto e l’hanno approvato, a patto che la compagnia controlli di continuo eventuali abbassamenti del fondo del mare e osservi alcune prescrizioni per ridurre altri effetti ambientali. Il via libera ambientale al progetto in mezzo al mare ha trovato vagonate di contestatori sulla terraferma.
Alcune associazioni ecologiste e organizzazioni ambientali hanno presentato un ricorso al Tar Lazio; un altro ricorso uguale è stato presentato da una carriolata di istituzioni venete (molti comuni, la Provincia di Rovigo, un ente parco). Tra i sette motivi di contrarietà, dicono che il giacimento farà sprofondare la provincia di Rovigo ed è troppo vicino all’area protetta del delta del Po. Giorni fa la duplice sentenza. Le tre magistrate amministrative della seconda sezione ter del Tar Lazio (Donatella Scala, Roberta Ricchese e Maria Rosaria Oliva) hanno dato ragione ai comitati nimby e alle istituzioni polesane e hanno confermato che estrarre quel gas in mezzo all’Adriatico farà sprofondare la provincia di Rovigo: “Si può affermare che l’estrazione del gas dal sottosuolo o dall’area marina comporta il progressivo abbassamento del suolo della terraferma, per un’area molto estesa, che sulla base delle attuali conoscenze scientifiche non è in dettaglio individuabile”, dice la sentenza. Entusiasmo delle organizzazioni ecologiste, di comitati nimby e di politici veneti di diversi colori. Quegli 800 milioni di metri cubi di metano possono arrivare con circa 3.500 viaggi in nave attraverso l’Atlantico dopo essere stati estratti negli Stati Uniti con il fracking. Il pianeta è salvo.