Lollobrigida al Foglio: “Non c’è chiusura totale. Si può trovare una soluzione se l’Euroopa non sacrifica ancora una volta gli agricoltori”. L’Italia è l’ago della bilancia a Bruxelles
“Se il quadro complessivo resta così com’è, l’Italia difficilmente sarà favorevole. Ma non c’è chiusura totale. Si può trovare una soluzione se l’Europa non sacrifica ancora una volta gli agricoltori a favore di altri settori”, ci dice da Bruxelles il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida a proposito del trattato di libero scambio tra Unione europea e Mercosur (i principali paesi del Sud America). Sull’accordo, sbloccato dopo 25 anni di trattative dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen, l’Italia è l’ago della bilancia. Per bocciare il trattato serve il veto di almeno quattro paesi Ue che rappresentano almeno il 35% della popolazione. Per ora c’è il no di Francia, Austria, Polonia e Olanda che sommano il 30% della popolazione. Roma è quindi determinante.
Lollobrigida parla da Bruxelles, dove è per il consiglio Agrifish e a margine del quale si è riunito con il Copa, l’associazione degli agricoltori europei presieduta da Massimiliano Giansanti che ha tenuto una manifestazione di protesta contro l’accordo con il Mercosur. All’incontro sul trattato con i produttori, il ministro italiano dell’Agricoltura ha partecipato insieme ai colleghi di Francia, Spagna, Portogallo e Austria. Due paesi contrari all’accordo per l’importante peso politico degli agricoltori (Francia e Austria) e due paesi favorevoli per gli importanti rapporti storici e culturali con l’America latina (Spagna e Portogallo).
L’Italia si trova in una posizione intermedia, piuttosto complicata. Perché da un lato ha forti interessi economici, oltre ai legami culturali, con paesi del sud America (come Argentina e Brasile), ma dall’altro per questo governo – come ama ripetere Lollobrigida – l’agricoltura ha un valore “strategico”. E non è un caso, infatti, che a seguire il dossier in questa fase sia proprio il ministro dell’Agricoltura. Che è la persona a cui tutti rinviano per capire la posizione italiana. Anche se, ovviamente, l’agricoltura non rappresenta tutta l’economia italiana ma solo una piccola parte.
Non è passata inosservata la discrezione del ministro delle Imprese, Adolfo Urso, il più loquace della squadra di Giorgia Meloni, sempre reattivo a ogni accadimento con una dichiarazione pronta su tutto. Su questo argomento Urso non ha detto nulla. Perché se tutte le organizzazioni agricole – dalla Coldiretti a Confagricoltura fino alla Cia – si oppongono al trattato, il mondo delle imprese è invece molto favorevole. Il presidente della Confindustria, Emanuele Orsini, nelle scorse settimane si è esposto a favore dell’accelerazione nella chiusura del free trade agreement: “Le imprese europee hanno bisogno di aprire nuovi mercati, come quello del Mercosur”, ha detto pochi giorni fa. A fine novembre, a Parigi, in occasione di un trilaterale con Medef e Bdi, le “confindustrie” di Francia e Germania, parlando del Mercosur Orsini ha detto che è “molto miope limitarsi nel portare i nostri prodotti fuori dall’Europa, abbiamo bisogno di aumentare il surplus commerciale”.
Le posizioni in Europa non sono ideologiche, non seguono cioè le divisioni delle famiglie politiche. Ma seguono, appunto, gli interessi economici e le caratteristiche produttive dei paesi. In questo senso l’Italia – che è un paese esportatore e con una forte manifattura – dovrebbe avere interessi allineati a quelli della Germania, quindi a favore di un accordo commerciale che abbatte il 91% dei dazi su tutti i prodotti (pari a circa 4 miliardi di euro l’anno) con un’area di 273 milioni di persone come il Mercosur. Nello specifico, vengono azzerate le tariffe sull’automotive (35%), su macchinari e apparecchi elettrici (14-20%), sulla siderurgia (12-18%), sulla chimica e farmaceutica (14-18%). Tutti settori ad alto valore aggiunto, dove l’Italia è molto competitiva e che rappresentano gran parte dell’export e dell’avanzo commerciale con il Sud America.
Ma anche il settore agroalimentare non è monoliticamente contrario: tutti i produttori con forte vocazione all’export, quelli con maggiore valore aggiunto, dai vini ai prodotti di eccellenza (l’accordo protegge 57 marchi e denominazioni alimentari, praticamente tutte quelle che fanno export), sono favorevoli all’apertura di un mercato per ora piccolo ma con grandi potenzialità, proprio perché popolato da decine di milioni di italodiscendenti.
Del fatto che “l’Italia complessivamente potrebbe avere un guadagno finanziario dal punto di vista dell’export” è consapevole lo stesso Lollobrigida, ma l’obiettivo è evitare un altro duro colpo a un settore “in grande sofferenza” come l’agricoltura. L’accordo è chiuso, ma ciò a cui si sta lavorando “con pragmatismo” insieme alla Commissione europea sono le compensazioni per gli agricoltori. Che possono arrivare da vari tavoli: un addendum all’accordo e la riforma della nuova Pac. Più in generale Bruxelles dovrebbe tendere una mano agli agricoltori dopo gli scontri degli anni scorsi. Mostrare che l’Europa non vuole “sacrificare” sempre l’agricoltura, ma rilanciarla secondo lo spirito dei trattati di Roma.
In tal caso l’ago della bilancia italiano, che ora propende per il no, potrebbe spostarsi verso il sì. Se non dovesse accadere sarebbe forse una vittoria degli agricoltori, ma di sicuro una sconfitta per l’economia italiana difficile da rivendicare per il governo Meloni.