Per l’ex ministro e presidente della fondazione MedOr: “Non si può ancora dire se quanto accaduto a Damasco stabilizzerà o aumenterà il caos in medio oriente, di certo per Israele un governo islamista è un rischio in più”
“La caduta di Assad in Siria? Ha due protagonisti: Erdogan e Putin. Meloni incontra Trump? Bene, ma all’Italia non conviene fare da mediatore tra Ue e Usa. La nuova amministrazione americana? Per l’Europa non è una minaccia, ma una sfida”. La nostra chiacchierata con Marco Minniti, ex ministro dell’Interno oggi presidente della Fondazione MedOr, da pochi giorni diventata ancor più un pezzo strategico dell’iniziativa italiana nel Mediterraneo allargato, con l’ingresso di tutte le più importanti partecipate dello stato, da Eni alle Ferrovie, non può che partire dalla notizia più importante di questi giorni: la caduta del regime di Assad in Siria. “In questi anni – dice Minniti – c’è stato un asse strategico tra Putin ed Erdogan. Se guardiamo a tutte le recenti crisi – dalla Libia alle ex repubbliche socialiste russe – sono sempre tra i protagonisti. Seppure in ogni occasione uno schierato da una parte, e l’altro da quella opposta. Contrapposti anche militarmente, ma in grado sempre di trovare un accordo grazie al comune modo di guardare il mondo attraverso le lenti del nazional imperialismo”. E’ questa, secondo l’ex ministro dell’Interno, la chiave di lettura corretta con la quale guardare a quanto sta accadendo in Siria.
“In 11 giorni – ricorda Minniti – le formazioni islamiste siriane hanno fatto quello che l’Occidente non è riuscito a fare in 13 anni: mandare via Assad”. In questo caso il motore dell’azione è stato proprio il presidente turco: “L’avanzata dell’Hts di al Jolani – sottolinea – inizia esattamente il giorno dopo la firma della tregua tra Israele e Libano, primo passo per una stabilizzazione dell’area. L’operazione è stata quasi certamente appoggiata, sostenuta ed evocata dalla Turchia con due grandi obiettivi: allargare la zona cuscinetto che la divide dai curdi dell’Ypg e permettere il ritorno dei quasi quattro milioni di profughi siriani che sono ospitati in Turchia. Se Erdogan avesse aspettato una stabilizzazione l’operazione in Siria sarebbe diventata molto complicata. Invece, con la Russia in difficoltà, Hezbollah e Iran – veri protagonisti della tenuta militare di Assad – ancora gravemente indeboliti dallo scontro con Israele, Erdogan ha potuto agire indisturbato. L’obiettivo iniziale non era far cadere Assad ma costringerlo a un patto. Infatti i tre ministri degli Esteri turco, russo e iraniano si erano visti a Doha per vedere se ci fossero le condizioni per una soluzione diversa”. Che ruolo ha giocato dunque la Russia, grande protettore del regime di Assad? “Putin – dice Minniti – ha di fatto mollato Assad, accogliendolo però a Mosca come rifugiato politico. Una scelta dovuta in parte a una debolezza intrinseca: il presidente russo non può permettersi secondi fronti strutturali, il secondo è la garanzia che probabilmente avrà ricevuto sul controllo delle due basi navali di Tartus e Latakia e su quella aerea di Hmeimim. Questa però è adesso la vera incognita. Perché se Putin fosse costretto a rinunciare alle basi subirebbe un colpo al suo prestigio quasi esiziale che lo costringerebbe a puntare ancor di più sull’Ucraina. Un Putin ferito diventerebbe un grande problema anche per Trump”.
Secondo Minnti il modo di agire sullo scacchiere internazionale di Erdogan merita un’analisi attenta: la Siria è solo l’ultimo episodio di una strategia complessiva portata avanti dal presidente turco. “Erdogan – dice Minniti – ha scelto da qualche anno una dottrina delle ‘mani libere’ in questo mondo diventato ormai ‘caoslandia’. Questa strategia si fonda sul fatto che la Turchia gioca con spregiudicatezza e determinazione il suo ruolo geo strategico, pensando sia superiore anche alle compatibilità economico-finanziarie. La Turchia ha raggiunto tassi di inflazione del 90 per cento, ma non è fallita. Perché? Semplicemente perché nessuno può permettersi che fallisca. Può essere un paese Nato, ma partecipare a San Pietroburgo alla riunione dei Brics, può sostenere una milizia islamista, fornire i droni all’Ucraina e intanto non applicare le sanzioni alla Russia senza che nessuno sollevi il caso, lo può fare perché nessuno può permettersi che la Turchia esca dalla Nato”. Tutto questo alla fine potrà stabilizzare il medio oriente o contribuirà ad aumentare il caos? Dice Minniti: “Dirlo oggi è impossibile. Da un lato c’è la soddisfazione per la caduta di un potere che si accaniva contro il proprio popolo, dall’altro l’incognita di questa conversione sulla via di Damasco di al Golani e della sua Hts che nasce come evoluzione di Al Nusra, una milizia islamista derivata diretta di Al Qaeda. Una serie di cartine tornasole saranno il tema delle basi russe, il contrasto a Islamic state e la tolleranza verso la presenza dei 900 soldati americani in Siria. Oggi – prosegue – domina il principio dell’ambiguità, che è diventato un elemento di analisi per tantissimi avvenimenti. Tuttavia in questo caso c’è un dato oggettivo: Israele non aveva rapporti con Assad, ma ne aveva con i russi, dunque poteva permettersi di colpire in Siria senza alcuna reazione. Adesso invece cosa accadrà? Per un’eterogenesi dei fini, con un Iran così debole, la Siria potrebbe diventare il nuovo paese di riferimento dell’asse della Resistenza, con la supervisione della Turchia. D’altronde Erdogan ha pronunciato parole durissime contro Israele”.
In tutto questo sarà necessario capire cosa farà la nuova amministrazione americana. “In un mondo così interconnesso anche Trump non potrà permettersi un vero isolazionismo. E però cercherà di decidere solo quando sarà la realtà a costringerlo, questo pone all’Europa una sfida: possiamo finalmente arrivare a una politica estera e di difesa comune, l’Italia può giocare questa partita da protagonista perché siamo l’unico paese con un governo stabile. Se non ci muoviamo, più che la Turchia a chiedere l’ingresso in Ue saremo noi a chiedere l’ingresso nella zona di influenza turca: sembra una provocazione ma non lo è”. E il nostro paese e gli Usa? “L’incontro tra Trump e Meloni è positivo”, dice Minniti”. “Il presidente eletto ha speso belle parole per la nostra premier, ma sconsiglierei un ruolo di mediazione tra Ue e Trump. Sarebbe una posizione delicata da gestire e ad alto rischio di logoramento politico. Il ruolo storico strategico del nostro paese è quello di fare da cerniera tra il nord Atlantico, l’Europa e il mediterraneo allargato”. Proprio in questo c’è anche il nuovo ruolo che svolgerà la fondazione MedOr, ormai “italian foundation”. “Esatto – dice Minniti – saremo al servizio del sistema paese, punto di contatto con il mediterraneo allargato. E’ il primo esperimento del genere, oltre alle partecipate potrebbero entrare anche aziende private”, dice l’ex ministro che ci mostra già un primo risultato ottenuto dalla fondazione in collaborazione con le Nazioni unite. E’ un certificato di partecipazione a un corso di formazione: “Abbiamo formato – spiega – quindici giovani diplomatici somali che affiancheranno il presidente Sheikh nella gestione della presenza somala al consiglio di sicurezza delle Nazioni unite per due anni. Questo si chiama soft power”.