Israele non dimentica i legami tra Hamas e gli uomini di Julani

Lo stato ebraico, dopo aver visto l’avanzata dei ribelli in Siria, aveva calcolato che potesse servire a fare pressione su Assad per rompere la sua alleanza con l’Iran, ma la caduta del regime porta un’altra minaccia: l’indizio è nel nome di battaglia del leader di Hts

Per cercare il rapporto fra Ahmed Hussein al Shar’a e Israele bisogna risalire al nome di battaglia che il creatore di Hayat Tahir al Sham iniziò a usare anni prima di dare vita alla sua organizzazione che ha sprigionato l’avanzata vorace contro il regime di Bashar el Assad fino alla sua caduta. Il nome di battaglia che Ahmed Hussein al Shar’a scelse è lo stesso con cui siamo abituati a sentirlo chiamare oggi: Abu Muhammad al Julani, intriso del riferimento alle Alture del Golan, regione di provenienza di suo padre, controllata da Israele dalla Guerra dei sei giorni e da cui Tsahal, l’esercito israeliano, sta estendendo le sue manovre. Lo farà fino a quando, ha detto il ministro della Difesa Israel Katz, non sarà chiaro chi saranno i suoi nuovi vicini. Israele si è appostato sul versante siriano dell’altissimo monte Hermon, lungo quella che è stata per anni una zona cuscinetto demilitarizzata di duecentotrentacinque chilometri quadrati, istituita nel 1974 per dividere lo stato ebraico dalla Siria. Ora Israele teme che se non ci saranno i suoi soldati appostati e pronti, chiunque tra i nuovi arrivati potrà entrare per primo nella zona cuscinetto e avvicinarsi sempre di più al territorio israeliano.

I patti vecchi non esistono più, vanno prese le misure con la Siria che cambia e il cui cambiamento è legato a un nome, Julani (in ebraico Golani), ma a molte anime, quelle che hanno contraddistinto la sua carriera da combattente e quelle di tutti i gruppi che seguendo la scia di Hayat Tahir al Sham sono avanzati contro l’esercito inutile, corrotto e impreparato di Assad. C’è il nemico che Israele conosce, Assad, e il nemico ancora da decifrare, ma con delle pessime credenziali, come Julani. Nei suoi discorsi passati, Julani aveva apertamente dichiarato la sua lotta contro Israele: è un estremista islamico, per lui lo stato ebraico è il nemico per antonomasia. Oggi va parlando di relazioni di buon vicinato e tra i suoi vicini c’è sempre Israele. Più espliciti sono stati alcuni degli estremisti al seguito di Julani, che mentre domenica scorsa festeggiavano nella Damasco da cui aveva appena cacciato, senza sparare un colpo, gli ultimi uomini di Assad, si sono messi davanti alle telecamere per registrare le loro prossime intenzioni: proseguire fino a distruggere lo stato ebraico. Domenica Israele ha colpito alcuni siti contenenti armi chimiche e anche depositi di missili a lungo raggio, l’obiettivo degli attacchi è togliere il prima possibile dalle mani dei ribelli armi che potrebbero essere usate contro lo stato ebraico.

Israele aveva l’obiettivo di spingere il dittatore siriano Assad ad allontanarsi dalla Repubblica islamica dell’Iran, di pressarlo affinché smettesse di offrire le sue strade al passaggio delle armi verso il Libano dove venivano consegnate al gruppo Hezbollah per far guerra a Israele. Lo stato ebraico, dopo aver visto l’avanzata dei ribelli, aveva calcolato che potesse servire a fare pressione su Assad per rompere la sua alleanza con l’Iran. Non si sa fino a che punto l’intelligence israeliana, che per prima ha parlato della possibile caduta del regime, ne avesse intuito la portata dall’inizio: sulle prime mosse, Israele aveva ritenuto l’avanzata di Julani uno strumento di pressione. Julani, senza voler fare favori a Israele, ha spazzato via da Damasco i nemici iraniani, dall’ambasciata di Teheran in Siria, i manifestanti hanno stracciato le immagini del generale che aveva sancito l’unione tra l’Iran e la Siria, Qassem Suleimani, e di Hassan Nasrallah, il leader di Hezbollah che del canale siriano si era servito per ingrossare i suoi depositi di armi e aveva mandato i suoi uomini a combattere per mantenere vivo il regime di Assad.

L’Iran si è allontanato da Israele, ma rimane sempre Julani, il nemico da decifrare che per anni è stato vicino a Hamas. Nei primi anni della guerra in Siria, i leader del gruppo della Striscia di Gaza sventolavano le bandiere a tre stelle della rivoluzione usate dai ribelli e che oggi sono diventate il vessillo ufficiale. La maggior parte dei gruppi, incluso quello di Julani, sono sunniti, proprio come Hamas e non è detto che, esattamente come Hamas, non decidano tra qualche anno di costituire un asse contro Israele tornando proprio da Teheran. Il vuoto in medio oriente si riempie a una velocità sempre quadruplicata rispetto ad altre zone, e al posto dell’Iran c’è chi già può manovrare i gruppi agguerriti contro Israele: la Turchia di Recep Tayyip Erdogan, il nuovo ospite di alcuni dei leader di Hamas. Il Jerusalem Post scrive in un commento molto pacato: Ankara non è Teheran, con Ankara Israele ha canali di comunicazione, è meglio che inizi a usarli.

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull’Unione europea, scritto su carta e “a voce”. E’ autrice del podcast “Diventare Zelensky”. In libreria con “La cortina di vetro” (Mondadori)

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