L’Italia attenta alla crisi di Francia e Germania. La caduta di Assad. La rivoluzione interna a FI per salire nel consenso. Le distanze dai populisti e dai patrioti: “Meloni è diventata pragmatica”. Una chiacchierata con il ministro degli Esteri
Dal terzo piano di Palazzo Chigi, in un giorno terso e già invernale, Antonio Tajani si siede sulla sedia attorno al tavolo del suo studio e spande considerazioni a tutto campo. Il caos in medio oriente, con le dimissioni e la fuga di Assad dalla Siria lette come “una sconfitta della Russia”, lo stato della maggioranza, i rapporti con Matteo Salvini, “sempre al mio fianco nei Consigli dei ministri. Altro che gelo…”. Passando per il futuro di Forza Italia: “Sono pronto a lanciare una vera e propria rivoluzione interna per arrivare al 20 per cento”. Meloni che si è staccata dai sovranisti ed è diventata “pragmatica, una vera leader europea”. E poi i rapporti con la famiglia Berlusconi, “degli amici che ascolto volentieri se hanno idee, consigli. Ma poi decido sempre e solo io”. Abbiamo raggiunto il vicepremier e ministro degli Esteri nel suo ufficio che affaccia sul cortile porticato interno, con decorazioni barocche, del palazzo del governo, a pochi passi dalla Sala Verde degli incontri con le parti sociali. Tajani misura le parole, si alza, apre la finestra per far filtrare aria pulita. Si risiede e comincia a rispondere sulla crisi politica in Francia, che insieme a quella del governo tedesco rischia di far precipitare l’Europa. “Per l’Europa e per l’Italia una situazione di difficoltà della Francia e della Germania può avere sicuramente effetti negativi”.
“L’Italia, grazie a Dio, non è né in stagnazione né in recessione”, continua il vicepremier. “I dati economici sono positivi, anche se ancora non del tutto ottimali. Aumenta l’occupazione, soprattutto quella stabile. Aumentano le ore lavorate. Lo spread si riduce. La Borsa va bene. Abbiamo un sistema bancario che è solido rispetto ad altri. Siamo diventati la quarta potenza commerciale mondiale”. Ciononostante, riconosce l’esponente forzista, “siccome siamo tutti parte del mercato unico europeo, se la situazione in Germania e Francia va male, non possiamo certamente rallegrarcene. Perché inevitabilmente queste crisi rischiano di provocare dei contraccolpi in Italia. Abbiamo già visto, in un contesto positivo di esportazioni, che però quelle in Germania hanno subito un calo a causa della crisi dell’auto tedesca. Ecco perché bisogna correre alle contromisure, che sono di politica industriale. Vanno affrontate a livello europeo, come già avevo suggerito di fare quando ero commissario dal 2010 al 2014”.
Al vicepremier chiediamo allora, vista l’inedita stabilità dell’Italia, se non sarebbe un segnale il riconoscimento delle agenzie di rating, in grado di migliorare la reputazione del nostro sistema paese. “Io dico che piuttosto dobbiamo ambire alla crescita. Le agenzie di rating certificano certo uno stato di salute. Noi le rispettiamo, ma quello che mi preoccupa sono i dati reali. E’ come con i sondaggi: quel che conta sono i voti. E i risultati economici che ho già elencato fanno assolutamente promuovere questo governo. Siamo contenti? Assolutamente no, perché ci sono ancora troppi italiani che vivono sotto la soglia di povertà. Il nostro obiettivo è far incrementare sempre più il numero di persone che rientrano nel ceto medio”.
Con il ministro degli Esteri partiamo con l’affrontare le questioni di sua stretta competenza: la situazione a livello internazionale. Qualche giorno fa, partecipando alle celebrazioni per i 120 anni del Tempio maggiore a Roma, è tornato a insistere sul cessate il fuoco a Gaza. Eppure il precedente in Libano non pare stia funzionando granché. “Io invece credo che il cessate il fuoco in Libano possa essere prodromico per il cessate il fuoco a Gaza”, argomenta pacatamente il vicepremier. “Con la sconfitta di Hezbollah, Hamas perde il sostegno di un alleato che comunque impegnava molto l’esercito di Israele nel nord del paese. Dobbiamo lavorare per questo, non dobbiamo essere pessimisti, dobbiamo far prevalere la diplomazia e lo abbiamo detto innumerevoli volte a Israele che è indispensabile arrivare al cessate il fuoco per liberare tutti gli ostaggi e per poi preparare la strada per un percorso di pace duratura in medio oriente”. A proposito di Israele: il mandato d’arresto della Corte penale internazionale, spiccato tanto nei confronti di Netanyahu quanto nei confronti di Hamas, porta a un ripensamento dell’autorevolezza stessa della corte? “La Cpi l’abbiamo riconosciuta, la sosteniamo, però certe sentenze, certe decisioni, rischiano di essere totalmente inefficaci. Non è applicabile neanche su Putin, figuriamoci su Netanyahu. Chi arresta il primo ministro di Israele? Come? Diventa un periodo ipotetico dell’irrealtà. E’ chiaro quanto sia più che altro un messaggio politico a Netanyahu. Un messaggio però già debole, perché non si può mettere sullo stesso piano il premier di un paese libero e democratico con un terrorista che ha pensato di andare a prendere casa per casa migliaia di ebrei con metodi nazisti, non di bombardare una caserma”.
L’ultimo teatro che agita il medio oriente è però la Siria. Con le dimissioni e la fuga, ieri, di Bashar el Assad. Una sconfitta della Russia? “La domanda è perché c’è stata questa accelerazione. Credo sia perché Hezbollah ha perso la sua battaglia in Libano e si è indebolito fortemente e non era più in grado di sostenere il regime di Assad. La stessa Russia impegnata nella guerra in Ucraina non è stata in grado di difendere Assad. Ed è stata una sconfitta politicamente per la Russia, che rischia di perdere l’accesso al Mediterraneo”, dice Tajani. Il quale gli equilibri nella regione li conosce bene. “Prima di questa ultima esplosione di violenza, avevamo avviato un ribilanciamento”, spiega il ministro. “La nostra ambasciata non era mai stata chiusa anche se avevamo troncato i rapporti col regime di Assad. Abbiamo inviato di nuovo un ambasciatore, che non aveva presentato credenziali nelle mani di Assad, ma essendo un profondo esperto del dossier Siria ha avviato contatti con uno scopo ben chiaro: far dialogare le parti, come fanno le Nazioni Unite. Favorire tutto quello che è possibile fare per sostenere la popolazione siriana”. Ieri i gruppi che hanno destituito Assad hanno fatto irruzione nella residenza dell’ambasciatore italiano, Stefano Ravagnan. “Ma la situazione è sotto controllo”, rassicura Tajani. “Adesso abbiamo il tema di capire il prima possibile chi sono diventati e come si comporteranno i gruppi che hanno preso Aleppo e Damasco. Capire se siamo alla vigilia di nuovi orrori o di un semplice rimescolamento delle carte sul tavolo”.
Anche l’altra spina estera recente, le tensioni politiche in Corea del sud, chiediamo al ministro, descrive uno scenario critico per il possibile avvento di forze filocinesi? “La destabilizzazione dell’area operata dalla Corea del nord nella regione è preoccupante. Ma quanto è successo, a proposito della legge marziale poi ritirata, riguarda questioni di politica interna. L’auspicio è che il paese riesca a difendere la propria democrazia e la propria libertà”.
Ma questa chiacchierata con il ministro Tajani è anche l’occasione per parlare dell’Italia, degli alleati di governo. Per misurare quanto la premier Giorgia Meloni stia riuscendo ad affrancarsi dalle destre sovraniste europee. Qualche giorno fa ha ricevuto a Palazzo Chigi Victor Orbán, ovvero colui che, ancor prima della vittoria di Donald Trump, faceva di tutto per indebolire il sostegno all’Ucraina. Sarebbe bene marcare un distacco ancor più netto dalle destre populiste, secondo lei? “I patrioti sono una minoranza, quindi non hanno grande influenza in Europa, soprattutto nel Parlamento europeo”, dice Tajani. “Orbán è un primo ministro che ha sempre giocato una partita politica sul filo del rasoio. Non credo che potrà mai provocare uno smantellamento del sistema europeo perché può avere problemi ma alla fine non arriva mai alla rottura. L’Ungheria è un paese amico, non credo che si debba boicottare. Bisogna discutere e convincere l’Ungheria delle nostre buone ragioni quando abbiamo idee diverse da loro, anche sull’Ucraina, che dobbiamo continuare a difendere. Non credo, ripeto, che i patrioti siano così influenti”. Ma allora il disancoraggio di Meloni a leader come Orbán lo legge come un segnale di maturità politica? “E’ segno di grande pragmatismo politico. Il presidente del Consiglio italiano deve tenere conto di quello che è il suo paese, di quella che è la maggioranza che lo sostiene. Quindi si muove da leader di una nazione, non da segretario di partito. Io avevo auspicato già da tempo una coalizione di popolari, liberali e conservatori. Adesso c’è, di fatto, con una maggioranza che va dai conservatori ai liberali, e in cui in qualche parte ci sono anche i Verdi, che però son sono poi così convinti di sostenere von der Leyen. C’è stato comunque un allargamento ai conservatori che hanno un ruolo più importante di quello che avevano nella scorsa legislatura. Meloni non vuole entrare nel Ppe, è il leader dei conservatori europei, però giustamente vuole giocare la partita da protagonista”. Quindi vade retro sovranisti e populisti di destra? “Io credo che si debba rifuggire dal populismo in assoluto, sia di destra che di sinistra. Il populismo non serve”, è la versione del vicepremier. “Serve molto pragmatismo, serve avere una visione. Noi ce l’abbiamo. Crediamo nell’Europa, crediamo nell’Alleanza atlantica, abbiamo dei valori molto chiari, siamo cristiani, liberali, garantisti, riformisti, abbiamo la nostra chiara identità e questa vogliamo farla valere. Non rinunceremo mai ai nostri valori”.
Restando sui valori nei rapporti internazionali, a questo giornale aveva detto: Trump non è un riferimento per Forza Italia. “Lo confermo, non è un riferimento di Forza Italia, ma è il presidente degli Stati Uniti e noi siamo amici degli Stati Uniti, quindi quando sarà necessario, quando sarà possibile, dialogheremo con Trump che guiderà la più importante democrazia al mondo, che è nostro alleato, l’altra faccia della stessa medaglia: l’occidente”. Eppure le sembra opportuno che Matteo Salvini abbia festeggiato la sua vittoria nelle stesse ore in cui l’imprenditoria del nord Italia lanciava un grido d’allarme per i dazi promessi in campagna elettorale dal tycoon, che potrebbero mandare in crisi interi comparti italiani totalmente votati all’export negli Usa? “Dobbiamo lavorare perché sulla politica dei dazi non ci sia un atteggiamento punitivo e tutto si faccia nell’ambito delle regole del Wto. Dobbiamo fare in modo che la percentuale di export continui a essere quella che è oggi. Anzi, direi che dobbiamo fare ancora meglio, attaccando l’italian sounding. Vediamo cosa deciderà concretamente Trump al momento giusto, se avrà per esempio nei confronti dell’Italia un atteggiamento diverso rispetto a quello di altri paesi, come aveva avuto negli anni scorsi alla fine del suo vecchio mandato, perché chiaramente guardava all’Italia come un paese interlocutore e per questo aveva assunto un atteggiamento meno duro per quanto riguarda il commercio. Bisognerà parlare molto, discutere e convincere gli americani della bontà delle nostre scelte politiche che vanno nella direzione della crescita”. A ogni modo il leader di Forza Italia ci tiene a ribadire come il trumpismo non sia un suo modello. “I nostri modelli sono altri, tutti italiani: Einaudi, De Gasperi, Don Sturzo, Berlusconi”.
Torniamo ai rapporti con la premier. Secondo lei Giorgia Meloni ha una classe dirigente all’altezza delle sfide che attendono il suo partito? “Io cerco di guardare la mia, di classe dirigente. Il mio compito è quello di farla crescere e non di guardare a casa di altri. Giorgia Meloni è sicuramente un bravissimo presidente del Consiglio, è un ottimo leader, è una persona leale che mantiene l’impegno, la considero anche un’amica a livello personale. Non tocca a me valutare, e mi auguro che lei non valuti i miei di dirigenti”.
Sia sincero: ci dice alcuni errori commessi da questo governo negli oltre due anni in carica? “Mah, di errori veri e propri non credo ce ne siano, perché alcune cose, anche grazie al nostro lavoro, sono state corrette. Penso alla tassa sugli extraprofitti, non perché non sia giusto chiedere a banche e assicurazioni un sostegno, ma perché non bisogna farla ex abrupto come una tassa che poi può spaventare altri settori. E poi chi decide cos’è l’extra profitto? Il profitto è profitto. Certo puoi chiedere un sostegno alle banche come è stato fatto quest’anno, abbiamo ottenuto un ottimo risultato, dialogando, senza spaventare. Non dobbiamo dare segnali negativi ai mercati, alla Borsa. Dobbiamo invece far capire che l’Italia è un paese che favorisce gli investimenti perché se io dico ‘tasso gli extraprofitti’ uno perché dovrebbe venire a investire in Italia?”. Sulle banche, però, non avete pasticciato un po’ troppo? E’ il tallone d’Achille di questo governo? “Le banche non sono un nemico, sono delle imprese che è bene che siano sane: il nostro sistema bancario, che in passato ha sofferto molto, oggi è sano. Poi è giusto che diano un contributo, ma io sono sempre per il libero mercato”. Tajani sembra parlare perché Matteo Salvini intenda. Del resto, il leghista è stato tra coloro che hanno chiesto l’utilizzo del golden power nell’operazione Unicredit-Bpm. “Se non ci sono pericoli per la sicurezza nazionale, non ci sono le condizioni per utilizzare questo strumento”, sottolinea Tajani. “Ci sono già istituti come la Banca centrale europea, la Banca d’Italia, che vigilano sull’applicazione delle regole. Poi naturalmente sarà il ministro Giorgetti che farà una proposta e il Consiglio dei ministri deciderà. Ma io non vedo gli estremi: è davvero in ballo la sicurezza nazionale? Non credo”.
La Lega ha usato anche la vostra difesa degli istituti di credito, ma soprattutto la vostra contrarietà al taglio del canone Rai, per alludere al fatto che stiate difendendo gli interessi di aziende private, della famiglia Berlusconi, da Mediaset a Mediolanum. “Chi pensa questo sbaglia tutto. Non ho nemmeno il conto a Mediolanum, figuriamoci!”, allarga le braccia il vicepremier. “Non ho alcun interesse con aziende private. Io sono amico dei Berlusconi da sempre, ma non sono un loro dipendente, non prendo ordini, se hanno delle buone idee certamente le ascolto, sono persone amiche che ci sostengono. Ma poi decido io nella mia autonomia, come ho fatto sugli extraprofitti o sulla Rai”. Sul rapporto con Salvini però Tajani ci tiene a chiarire che non ci sono frizioni. “In Consiglio dei ministri siamo uno accanto all’altro. Nessun gelo, vi assicuro”. Restando dalle parti di Viale Mazzini, perché secondo lei la Lega continua a opporsi a Simona Agnes, la figura che avete individuato come prossimo presidente? “Vedremo quando si vota. Mi auguro che nella maggioranza ci sia chi si rende conto che abbiamo fatto una proposta di garanzia. Un nome che rappresenta la storia della Rai e che porta il nome di colui che ha costruito il pluralismo all’interno dell’azienda. Da consigliere d’amministrazione ha fatto benissimo, non essendo mai di parte. In Rai tanti sperano che venga eletta il prima possibile”.
Tajani continua ogni tanto ad alzarsi, scarta un cioccolatino, si avvicina alla sua scrivania, poi si risiede. Viriamo su una figura come Maurizio Landini. Quanto estremismo c’è nella sua richiesta di una “rivolta sociale”? “Sono slogan più da leader politico che da leader sindacale. Devo dire che come leader sindacale Landini ha fallito. All’ultimo sciopero generale hanno aderito soltanto la metà delle sigle e i risultati sono stati deludenti, è stato un fallimento. Un leader sindacale deve sempre puntare all’unità. Ma magari il suo vero obiettivo è sfidare Elly Schlein al congresso del Pd”. Anche sulla vicenda Stellantis il vicepremier aggiunge che “il sindacato ha fatto più politica che altro”. Ma, più nel merito della situazione dell’azienda automotive, si sente di aggiungere una considerazione: “Credo che Stellantis debba poter continuare a investire nel nostro paese. Secondo la sua storia partita dalla Fiat, ha dato molto, ha avuto molto, è stato un grande amore. Adesso quell’amore non deve finire, non deve andarsene. Credo che voglia rimanere mantenendo i livelli occupazionali, questo è già un segnale importante”.
Al terzo piano di Palazzo Chigi iniziano ad affollarsi funzionari per il cosiddetto “pre Consiglio dei ministri”. Noi proseguiamo la chiacchierata. Che giudizio dà della segretaria del Pd Elly Schlein? “Una persona per bene, un’avversaria politica, non una nemica, che ho conosciuto quando eravamo entrambi al Parlamento europeo. Ma di cui non condivido una singola idea. Sta spostando il Pd sempre più a sinistra e di questo le sono grato perché sta aprendo uno spazio politico enorme per Forza Italia. Oramai non c’è più il centrosinistra ma solo la sinistra”. E del travaglio Conte-Grillo che idea s’è fatto? “Credo che i Cinque stelle abbiano fatto oramai il loro tempo. Grillo? Di certo le sue posizioni sull’uno vale uno, sul reddito di cittadinanza, hanno fatto più male che bene a questo paese”. E però la stessa Marina Berlusconi ha detto, sui diritti civili, di sentirsi più rappresentata dalla sinistra. “E’ la sua posizione personale. Noi abbiamo sempre dato libertà di coscienza sui diritti civili. E’ la tradizione di Forza Italia. Non c’è mai stata un’imposizione. Partiamo da un presupposto: rispettiamo tutti. Ogni persona ha diritto a esprimersi liberamente finché non danneggia gli altri. Ma il tema dei diritti è un tema che va posto. Perché sono state fatte a volte delle scelte sbagliate in passato”. Ad esempio sulla cittadinanza, sul cosiddetto Ius Italiae che avete proposto, riuscirete a raggiungere risultati entro il termine della legislatura? “E’ una proposta molto più seria della legge attuale, che punta a superare le cittadinanze concesse con manica larga. Vediamo le proposte in Parlamento. Speriamo di convincere tutti a votarla. Adesso però siamo impegnati nella riforma della giustizia che è la priorità. Abbiamo ottenuto dei risultati positivi. La separazione delle carriere, che era il vecchio sogno di Berlusconi, sta cominciando a prendere seriamente corpo”. Siete un partito che ha fatto del garantismo una sua bandiera: è accettabile lo stato in cui versano le carceri italiane, con un numero record di suicidi dall’inizio dell’anno? “E’ una situazione che richiede interventi decisi”, concede allora Tajani. “Noi abbiamo dedicato l’estate scorsa alle visite nelle carceri italiane. Siamo convinti che in Italia ci siano troppi detenuti. Cosa bisogna fare? Certo, costruire nuove carceri. Ma nel frattempo, si può lavorare per incrementare le pubbliche sorveglianze, accelerare le pratiche senza far rimanere in carcere chi dovrebbe uscire. E poi bisogna evitare la promiscuità tra detenuti psichiatrici e detenuti tossicodipendenti, permettendo loro di scontare la pena in un centro di recupero o in una comunità. Ma il nodo vero sono i tempi della giustizia, che dovrebbero essere molto più brevi”.
Visto che le elezioni europee e le regionali hanno restituito a Forza Italia un peso come seconda forza della coalizione, passerete all’incasso chiedendo deleghe o almeno di avere più rilevanza nell’agenda di governo? “Non è una questione di potere interno alla maggioranza. Non vogliamo creare turbamenti, non chiediamo posti. Il ministro Foti è stata una scelta di valore, ho già iniziato a collaborare con lui. Noi difendiamo soltanto le nostre idee. Vogliamo che nel centrodestra ci sia sempre più equilibrio tra posizioni di destra e posizioni di centro. E vogliamo far sì che non ci siano mai scelte stataliste ma liberali. Quando usciamo allo scoperto lo facciamo perché sentiamo la necessità di dare un segnale forte di difesa dei valori liberali. Siamo leali, che è meglio di essere fedeli, perché fedele è chi ha cento padroni”. Alle europee avete superato la doppia cifra. Qual è l’obiettivo da qui a prossimi due anni? “Dobbiamo puntare al 20 per cento. Adesso, sin dall’assemblea di Forza Italia del 12 dicembre, comincerò a organizzare una sorta di grande offensiva, una piccola rivoluzione interna per migliorare l’organizzazione del partito, rinforzare la classe dirigente. Non è facile, ma non è neanche impossibile. Bisogna lavorare molto, fare delle grandi battaglie politiche. Il percorso mi pare indicato, perché stiamo crescendo di volta in volta. Sono sicuro di farcela”. C’è qualche piccolo Tajani, qualche giovane talento che sta crescendo e si sta facendo notare in Forza Italia? “Di giovani ce ne sono tanti, anche parlamentari. E poi abbiamo i nostri presidenti di regione, i vicesegretari. Tanti ragazzi del Movimento giovanile. Di stoffa ce n’è”. E Pier Silvio Berlusconi? Anche lui lo consideriamo una riserva di Forza Italia? “Se vorrà impegnarsi o meno in politica è una sua decisione. Per ora non vuole farlo. Ma se tenderà a farlo, lo farà. L’importante è mantenere un ottimo rapporto con la famiglia, perché rappresentano in qualche modo il nostro fondatore, Silvio Berlusconi. Sono persone che ci aiutano, che ci sono vicine. Sono grandi imprenditori, confrontarsi con loro è sempre un arricchimento. Non lo considero un pericolo, anzi. Lo considero un fatto positivo. Sono persone intelligenti, che capiscono l’economia, mi sono sempre state vicine, anche quando non ero segretario del partito”.
Tajani, legandosi ai Berlusconi, dice anche che “per attrarre maggiori investimenti in Italia bisogna ridurre le tasse, la burocrazia e il costo dell’energia. La lentezza della giustizia civile ci costa il 3 per cento del pil. Mentre per quanto riguarda l’energia la soluzione è il nucleare, che è la vera energia pulita. Bisogna andare verso un mix energetico e il ministro Pichetto Fratin su questo sta lavorando bene”. Quest’interlocuzione privilegiata con il mondo produttivo può essere la chiave per allargare la selezione dei candidati alle regionali del prossimo anno. Su questo Forza Italia può avere un vantaggio sugli alleati? “Assolutamente sì. Già alle europee abbiamo raccolto le adesioni di diversi sindaci civici. Nelle nostre liste dobbiamo avere il maggior numero possibile di persone che possono essere partecipi alla costruzione di una forza che deve essere rassicurante, soprattutto in questo momento particolare, con le crisi di Francia e Germania alle porte”.
Possiamo essere certi al 100 per cento che questo governo durerà fino al 2027? “No, al 100 per cento no”, risponde Tajani. E il cronista pensa di poter battere: Tajani dubita sulla durata del governo. Ma poi il vicepremier continua: “Sono sicuro al 150 per cento. Non la pensiamo tutti allo stesso modo, è chiaro. Ma non siamo lo stesso partito, e nemmeno nei partiti su alcune questioni c’è il 100 per cento dei consensi. Il faro è il programma di governo. Noi abbiamo le nostre idee, le difendiamo e cerchiamo di farle prevalere. Che ne so, su alcuni emendamenti di bilancio possiamo avere idee diverse. Non è che sono dogmi di fede, gli emendamenti di bilancio. Cos’è, l’alleanza non funziona perché ha un’idea diversa della golden share? Per fare un altro esempio, noi siamo a favore dell’autonomia differenziata, l’abbiamo votata. Ma nel programma non c’era scritto il testo dell’articolato che è uscito dopo. Mi sembrava una stupidaggine inserire tra le materie delegabili il commercio internazionale perché fa un danno all’economia del nostro paese. Siamo la quarta potenza commerciale al mondo e diamo vita a una guerra tra l’olio dell’Umbria, quello della Puglia, tra l’Amarone e il Greco di Tufo? Che senso ha? Ma non c’è alcuna crisi. Anzi, le differenze sono importanti per cercare di raccogliere ancora più consenso”.
Dopo un’ora e un quarto di colloquio, quando tra una domanda e l’altra nell’anticamera del suo studio un bicchiere di cristallo è già accidentalmente rovinato per terra, Tajani confessa le proprie letture recenti, per staccare dall’attività di ministro e leader di partito. “L’ultimo libro di Vespa, e quello di Antonio Preziosi sui rapporti tra stato e Vaticano. Ma uno dei classici che mi colpisce sempre è ‘Genio del cristianesimo’ di Chateaubriand. Un film? Mi è piaciuto molto La coda del diavolo, con Luca Argentero”. In uno degli ultimi vertici di maggioranza a casa Meloni, hanno scritto che i tre leader si erano trovati a vedere insieme la Coppa Davis. A noi, dal vicepremier, arriva la smentita, anche se Tajani si dice molto contento del periodo vissuto dal tennis italiano “che non è solo Sinner, ce ne sono molti bravi”. Sul calcio, meglio sorvolare. Perché dopo aver saputo la fede giallorossa di chi scrive Tajani, dall’alto della sua, juventina, scherzerà: “Quindi l’anno prossimo giocate col Sud Tirol?”.
Al Foglio, ministro, può confessarlo: si vede al Quirinale tra qualche anno? Era stato Salvini la scorsa volta a dire che “l’amico Antonio avrebbe tutti i requisiti”. “Se il Padre eterno ci concede la possibilità di arrivare alle prossime elezioni, cerchiamo di vincere quelle. E’ il massimo del mio orizzonte temporale a lungo termine. E poi un presidente della Repubblica c’è, Sergio Mattarella, e con lui lavoriamo benissimo”.