I ribelli prendono Damasco. Dopo mezzo secolo, la Siria si risveglia libera dagli Assad

Il dittatore è fuggito, dice il Cremlino, ma c’è un mistero sulla sorte del suo aereo. Il primo ministro chiede una transizione ordinata e libere elezioni. Julani parla dalla moschea degli Omayyadi a Damasco. Cade un altro pezzo dell’Asse della resistenza

Bashar el Assad è fuggito e Damasco è liberata dal regime. Alle prime ore dell’alba, le televisioni di stato hanno trasmesso un comunicato in cui si annuncia la fine della dinastia Assad, che dal 1971, a cominciare con il padre di Bashar, Hafez el Assad, aveva instaurato una delle dittature più violente e repressive al mondo. I ribelli che provenivano dal sud, dalla provincia di Daraa che era finito sotto il loro controllo solamente ieri, hanno fatto breccia alle porte di Damasco. Migliaia di persone si sono riversate nel centro della capitale al grido “libertà! libertà!”. Nel pomeriggio, il leader delle brigate Hayat Tahrir al Sham (Hts), alla guida della coalizione di milizie che da una settimana hanno costretto al ritiro le Forze armate del regime, è comparso nella moschea degli Omayyadi di Damasco rivolgendo un discorso per celebrare la vittoria.

Intanto, Assad era fuggito, riferiscono fonti del regime, per una destinazione sconosciuta, sebbene abbia tentato di restare in Siria fino all’ultimo. Sulla sorte del dittatore resta il mistero. Sembra che un aereo presidenziale sia decollato nella notte da Damasco, per poi fare una brusca inversione di rotta e scomparire dai radar. Non si esclude che l’aereo sia esploso o precipitato. Il ministero degli Esteri di Mosca, nella tarda mattinata, ha emesso un comunicato in dice che Assad “ha deciso di abbandonare la sua carica presidenziale e ha lasciato il paese dando istruzioni per un pacifico trasferimento dei poteri”.

La caduta di Damasco sembrava essere solo una questione di tempo. Ieri alcune fonti locali avevano detto che la Guardia presidenziale di Assad insieme al presidente siriano erano introvabili. A livello militare, poi, il regime sembrava ormai stretto in una morsa lungo le principali linee di comunicazione del paese. A nord, Homs è caduta nella tarda serata di ieri, e persino a Tartus, dove i russi hanno la loro unica base navale che si affaccia sul Mediterraneo e che è una delle roccaforti del regime in quanto a maggioranza alawita, migliaia di persone si sono riversate nelle strade per abbattere una statua di Assad. Nell’altro centro nevralgico del potere alawuita, a Latakia, i residenti hanno abbattuto la statua di Hafez el Assad in un’ulteriore dimostrazione della fragilità su cui poggiava il potere autoritario e settario di Bashar. I ribelli hanno liberato anche i detenuti di Saydnaya, a una ventina di chilometri dalla capitale, diventata la prigione simbolo della repressione del regime di Assad, dove da decenni sono rinchiusi i dissidenti e gli oppositori, sottoposti a torture.

I ribelli hanno occupato anche il palazzo presidenziale, vuoto, lasciato al buio, immagine sbiadita di quello che si presentava al mondo intero come il centro smagliante del potere del regime. Anche l’ambasciata iraniana è stata presa d’assalto, chiudendo uno dei simboli del vassallaggio siriano agli ordini di Teheran, Le forze armate siriane si sono arrese negoziando con i ribelli per un ritiro ordinato e lo stesso vale per i leader del governo. Il primo ministro, Mohammad Ghazi al Jalali, ha chiesto libere elezioni ed è stato ritratto mentre un gruppo di ribelli lo scortava fuori dai suoi uffici in segno di una transizione politica ordinata. Lo stesso Jalali ha detto di essere in continuo contatto con Abu Muhammad al Julani, leader di Hayat Tahrir al Sham (Hts), la milizia islamista che si è messa alla guida di un ombrello di altri gruppi ribelli. Con un appello rivolto ai suoi uomini, Julani ha detto che è vietato occupare militarmente gli edifici del primo ministro “finché non si concluderà l’avvicendamento senza un solo proiettile sparato”.

Il tema più delicato e su cui dovrà misurarsi ora la coalizione di ribelli è proprio quello della transizione pacifica del potere. Il comando di Hts ha imposto il coprifuoco a Damasco e ha diramato delle istruzioni dirette a tutti i siriani che vietano di sparare proiettili in aria per non spaventare i residenti e di occupare proprietà pubbliche e private.

La preoccupazione principale per le monarchie del Golfo, ma anche per l’Egitto e la Giordania, è che la caduta di Assad non si traduca nell’avere una Siria retta da un’organizzazione terroristica legata all’estremismo islamico. Hts è nato dalle ceneri del fronte al Nusra, anch’essa una creatura di Julani, legata in periodi diversi prima allo Stato islamico e poi ad al Qaida, dalle quali negli anni si è smarcata dichiarando guerra a entrambe e trasformandosi in Hts. “Assad se n’è andato perché il suo unico sponsor – Russia, Russia, Russia – guidata da Vladimir Putin non ha più voluto aiutarlo”, ha commentato il presidente eletto degli Stati Uniti, Donald Trump. “Non aveva più senso per i russi restare lì (in Siria, ndr) a causa del loro impegno in Ucraina”.

Mazloum Abdi, comandante delle Forze democratiche siriane, che includono anche alcune milizie curde, ha esultato per la caduta di Assad. “Siamo testimoni di un momento storico in Siria. Questo cambiamento è un’opportunità unica per costruire una nuova Siria fondata su democrazia e giustizia, difendendo i diritti di tutti i siriani”.

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  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare “Morosini”. Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.

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