Lui e quei francesi fascisti e antisemiti che scrivevano come nessun altro: Lucien Rebatet, Maurice Bardèche, Pierre Drieu La Rochelle, Robert Brasillach. In Italia questa letteratura sbatte contro il muro dell’avversione ideologica
C’è quello spicchio di letteratura e cultura francese tra le due guerre, dove la fanno da protagonisti alcuni scrittori antisemiti o apertamente fascisti – Céline, Lucien Rebatet, Maurice Bardèche, Pierre Drieu La Rochelle, Robert Brasillach e ne sto omettendo – che costituisce il caso forse il più drammatico dell’intero Novecento letterario del secolo scorso. Attorno a questi scrittori e alle loro tempestose biografie si muove una sorta di consesso sacerdotale sotto forma di lettori la cui ammirazione nei loro confronti ha qualcosa di religioso.
Brasillach venne fucilato alla mattina del 6 febbraio 1945 da chi aveva espulso i nazisti da Parigi. Rebatet venne egualmente condannato a morte per poi essere graziato dopo alcuni anni di cella. Drieu La Rochelle si suicidò il 15 marzo 1945, quando la partita era ormai chiusa. Céline riuscì a rifugiarsi in Danimarca prima che arrivassero i gollisti, non senza lasciarsi indietro i testi originali di libri ai quali stava lavorando (e che sono pressoché miracolosamente riapparsi di recente) per poi tornare a Parigi nel 1951. Bardèche andai a intervistarlo una quarantina di anni fa, abitava ancora nella casa del Quartiere Latino dove lui e il cognato Brasillach avevano vissuto al tempo della Parigi occupata dai nazi.
Quando poco più che ventenne lavoravo in un liceo parigino da “lettore” di letteratura italiana, e passavo i miei pomeriggi scrutando le vetrine delle librerie antiquarie al Quartiere Latino, librerie dove non avevo il coraggio di entrare dato che in tasca mi ritrovavo pochissimi franchi, mi impressionava particolarmente quella dedicata unicamente ai libri di Céline, e non che fosse una piccola libreria. Da studente di lingua e letteratura francese mi ci ero imbattuto presto in Céline. E siccome il mio francese era ancora iniziale laddove il suo francese è burrascoso, il suo primo libro lo lessi in italiano, l’edizione degli anni Sessanta del Viaggio al termine della notte, la cui prima edizione francese era del 1932. A quel tempo la buona parte del mio lavoro consisteva nella confezione di una rivista trimestrale di varia umanità, Giovane critica, che è di quelle che hanno marcato la formazione di una generazione. Correzione di bozze, pacchi per le librerie, fatture, facevo tutto da solo. Tempo per scrivere non me ne restava. Con una piccola eccezione, la paginetta e mezza che dedicai al Viaggio al termine della notte e che ci misi un mese a comporre da quanto quel romanzo mi aveva sconvolto. Da allora mai un minuto è venuto meno l’afflato sacerdotale che nutro per Céline, una malattia che quando vi prende è grave, direi incurabile. Tanto per la precisione, il manoscritto originale del Viaggio al termine della notte verrà venduto a un’asta nel 2001 a 1,8 milioni di euro. Tanto per la precisione, il premio Goncourt per il miglior romanzo francese del 1932, il più importante premio letterario francese, venne assegnato non a Céline ma a uno scrittore di cui faticherete a trovare il nome e cognome in un qualche resoconto di quell’epoca.
Ovviamente in Italia questa letteratura sbatte contro il muro dell’avversione ideologica, a cominciare dal fatto che non è un impegno lieve sorbirsi intere paginate traboccanti l’antisemitismo più accanito. Se in Francia accadeva che il presidente della Repubblica François Mitterrand dicesse che l’umanità si divide in due spezzoni, quelli che hanno letto e assaporato I due stendardi – il libro che Rebatet aveva scritto durante gli anni della sua detenzione carceraria ivi compresi quelli in cui si aspettava di essere fucilato da un momento all’altro – e quelli che non l’hanno fatto, in Italia di quei lettori ce n’erano pochi e il suo nome restava clandestino. Almeno fino a quando, pochi mesi fa, Claudio Siniscalchi (un giornalista e studioso che volge a destra) non gli ha dedicato un libro assai ricco e articolato, Un rivoluzionario decadente. Vita maledetta di Lucien Rebatet (Daks Editrice, 2024). Ancor di più, opera da alcuni anni in Italia una elegantissima casa editrice milanese, Sette colori (dal titolo di un libro di Brasillach), il cui principale ispiratore è il mio vecchio amico Stenio Solinas, e i loro sono libri particolarmente dediti a specchiare la letteratura di cui ho detto finora e a evidenziarne la qualità e il posto che merita nella cultura del secolo scorso, cultura del tutto storpiata ove fosse amputata di quei libri e di quei autori.
Quanto all’Italia, un altro sacerdote della letteratura in questione è Andrea Lombardi, uno la cui passione letteraria per Céline è senza aggettivi. Totale. Molto bello è un libro piccino di formato e di pagine, I tesori ritrovati di Louis-Ferdinand Céline (Jacques Joset, Eclettica, 2024, a cura di Andrea Lombardi) che ripercorre la storia affascinante dei testi di Céline che erano andati perduti quando lui e sua moglie Lucette Almansor fuggirono dalla Parigi dove stavano arrivando i soldati sbarcati in Normandia e altro non riuscirono a portarsi via se non il gatto Bébert. Per la precisione, questi testi ritrovati per azzardo sono divenuti dei campioni di vendita nelle librerie francesi di questi ultimi anni.