L’ex senatore racconta il suo lungo calvario giudiziario, tra accuse infondate, intercettazioni illegali, gogna e sofferenze umane: “Il magistrato che sbaglia deve pagare”. La rinascita nel nome di Bruce Springsteen
La premessa è netta: “Se qualcuno pensa che dopo il mio proscioglimento io abbia stappato bottiglie di champagne è completamente fuori strada. Non c’è veramente nulla di cui festeggiare. Certo, c’è la soddisfazione di veder riconosciute le proprie ragioni, ma questo aumenta in maniera esponenziale l’amarezza. Ti chiedi: ma perché tutto questo?”. Il questo, a cui fa riferimento Stefano Esposito, parlamentare per due legislature nelle file del Pd, sono i 2.589 giorni trascorsi dentro un incubo giudiziario. Un “buco nero”, come lo chiama Esposito, iniziato nel 2017 e terminato martedì scorso con il suo proscioglimento da parte del gip di Roma dalle accuse di corruzione, turbativa d’asta e traffico di influenze. Quella che l’ha travolto è ben più di un’indagine giudiziaria: è uno scandalo in cui a essere protagonista è paradossalmente una procura, quella di Torino, che pur di mettere sotto inchiesta Esposito è giunta a violare la Costituzione e alcune delle norme basilari che regolano il processo. Ma facciamo un passo indietro.
“Scopro di essere indagato il 2 novembre 2017 da una telefonata dell’allora assessore all’Ambiente del comune di Torino, Enzo Lavolta”, racconta Esposito. “Mi chiama e mi chiede: ‘Scusa Stefano, ma chi è l’avvocato che hai nominato?’. Mi fa il nome di un avvocato che non conoscevo. Gli rispondo: ‘Guarda, non so di cosa stai parlando’. E lui: ‘Ma come Stefano, sei indagato con me e Muttoni per turbativa d’asta per il Forum del Terzo settore’. ‘Non so di cosa stai parlando’, gli ripeto. Da quel momento comincia il countdown dei 2.589 giorni”.
Esposito si rivolge a un avvocato e si fa pure interrogare dal pm titolare dell’indagine, Gianfranco Colace: “Il pm mi spiega sommariamente quale sarebbe l’intuito investigativo e mi dice che nasceva da intercettazioni dove io ero uno dei colloquianti. Mi fa ascoltare due intercettazioni, premettendo che, se le indagini fossero andate avanti, essendo io parlamentare avrebbe chiesto l’autorizzazione al Parlamento per il loro utilizzo. Ascolto le intercettazioni e spiego che l’idea che io avessi fatto una turbativa d’asta era del tutto fantasiosa. Firmo il verbale e vado via”.
Poi Esposito si butta nella campagna elettorale per le politiche del marzo 2018, dalle quali però esce sconfitto. “Pochi giorni prima che io decada da parlamentare ricevo la telefonata che mi getta definitivamente nel buco nero. E’ Giulio Muttoni. Mi avverte che i Carabinieri stavano facendo perquisizioni ai suoi danni e che gli era stato notificato un avviso di garanzia, in cui ero compreso anche io, per corruzione e traffico di influenze”, dice Esposito.
L’ex senatore del Pd viene accusato, nell’ambito dell’indagine “Bigliettopoli”, di aver svenduto la sua funzione di parlamentare in cambio di utilità da parte di Giulio Muttoni, patron di Set Up, società organizzatrice di grandi eventi musicali, e amico di lunga data di Esposito, tanto da fare da padrino al battesimo di una delle figlie di quest’ultimo. La colpa di Esposito è di essersi interessato all’interdittiva antimafia ricevuta da Set Up nel 2015 da parte della prefettura di Milano (alcuni soci di Muttoni avevano ceduto biglietti omaggio a soggetti che poi si erano scoperti essere esponenti della ’ndrangheta locale). “Mi sono semplicemente mosso per avere consigli su quale fosse la via migliore che Muttoni potesse seguire per provare a far rivedere la decisione della prefettura”, spiega Esposito.
Non era la prima volta, prosegue Esposito: “Mi ero occupato di altri casi di applicazione di interdittive antimafia. Dal momento in cui avevo fatto ingresso in commissione parlamentare Antimafia nel 2014 avevo avviato un dibattito, anche molto acceso, proprio su questo strumento. Perché ho sempre ritenuto aberrante il principio giuridico che sta alla base dell’interdittiva antimafia: se sei un imprenditore ti viene rifilata un’interdittiva antimafia anche se hai un parente di terzo grado che magari viene coinvolto in un’inchiesta antimafia, sulla base del principio giuridico assurdo secondo il quale ‘è più probabile che non’ che tu possa avere un’infiltrazione mafiosa. Nessuno si rende conto che le interdittive uccidono le aziende, il tutto sulla base di un labile sospetto”.
La procura di Torino, però, è drastica e sostiene che Esposito ha messo a disposizione la sua funzione di senatore a Muttoni in cambio di utilità. La prova regina sarebbe costituita da un prestito ricevuto da Esposito dal suo amico per aprire un mutuo per l’acquisto di una casa. Peccato che il prestito sia stato ricevuto da Esposito cinque anni prima della vicenda dell’interdittiva antimafia e sia stato pure interamente restituito a Muttoni: “Ricordo sempre un mio amico magistrato che, quando lesse le carte, mi disse: ‘Vabbè ma tu sei veramente un cretino, sei il primo corrotto della storia che prende una tangente e la restituisce, con gli interessi’. Che poi è ciò che sette anni dopo hanno notato gli stessi pm di Roma”, dice Esposito.
La macchina della gogna mediatica, però, nel frattempo si è innescata. “Sui giornali vengo rappresentato come il corrotto. In un attimo tutto quello per cui avevo lavorato, la mia reputazione, la mia onorabilità, viene buttato nel cesso”, racconta Esposito. “Questo mi ha profondamente ferito ed è stata la ragione per la quale ho passato due anni, non dico in uno stato di depressione, ma di grande prostrazione. Mi vergognavo di uscire di casa”. “Contemporaneamente – prosegue l’ex senatore – la vicenda ha un impatto devastante su mia moglie e i miei tre figli. Sono passati dall’essere degli individui, con una propria identità, all’essere figli e moglie di un corrotto. Vedere la loro sofferenza, vedere il fatto che per colpa mia stavano pagando delle conseguenze, mi ha strappato il cuore. E’ una cosa che ancora oggi dipana i suoi effetti, e che non sarà facile riassorbire”.
Il 19 ottobre 2020 arriva l’ennesimo colpo di scena. A Esposito viene notificato l’avviso di conclusione delle indagini: in allegato sono depositate 126 intercettazioni che lo coinvolgono e che sono state ritenute “rilevanti” dal pm Colace. Esposito scopre di essere stato intercettato complessivamente 500 volte nel corso dell’ultima parte del suo mandato di senatore (dal 2015 al 2018), senza però alcuna autorizzazione del Parlamento, come richiesto dall’articolo 68 della Costituzione. E questo nonostante fosse stato identificato chiaramente, già dopo sole tre settimane di indagini, in un’annotazione della polizia come “senatore della Repubblica italiana” e interlocutore abituale di Muttoni. Alcune intercettazioni vengono subito pubblicate sui giornali, nell’intento di dimostrare la colpevolezza dell’ex senatore. “Una cosa indegna. Basti pensare che io le ho ricevute soltanto dieci giorni dopo e ho impiegato tre giorni interi per ascoltarle”, ricorda Esposito.
“Dopo aver ascoltato le intercettazioni vado dal mio avvocato, Riccardo Peagno, e gli dico che per quanto mi riguarda possiamo andare a processo con le intercettazioni perché non ho nulla da nascondere. Lì ho avuto uno scontro piuttosto acceso con il mio legale. Peagno, che oltre a essere un fine giurista è stato per me anche una vera stampella sul piano umano in tutti questi anni, mi disse: ‘Lei la può fare questa scelta, ma con un altro avvocato’. E aggiunse: ‘Guardi che la Costituzione non tutela lei, ma l’istituzione. Io sono un avvocato, ho fatto un giuramento, e sono tenuto a segnalare una violazione così palese della Costituzione’. Compresi e ci accordammo che avremmo sollevato la questione davanti al gup. Ma nessuno di noi immaginava ciò che sarebbe successo”.
Il 1° marzo 2022, infatti, il gup di Torino Giulia Minutella accoglie le richieste del pm e dispone il rinvio a giudizio per Esposito per tutte le accuse, senza decidere di rivolgersi prima al Senato per chiedere l’autorizzazione a utilizzare le intercettazioni. Un fatto mai avvenuto prima, che ha spinto il Senato a sollevare un conflitto di attribuzioni tra poteri dello stato di fronte alla Corte costituzionale. Un conflitto che nel dicembre 2023 la Consulta ha ritenuto fondato, dichiarando l’illegittimità (e dunque l’inutilizzabilità) delle intercettazioni realizzate ai danni di Esposito: le captazioni nei confronti di Muttoni erano infatti “in realtà unicamente preordinate ad accedere alla sfera di comunicazione del parlamentare senza aver mai richiesto alcuna autorizzazione al Senato della Repubblica”. I giudici, di conseguenza, hanno annullato il rinvio a giudizio nei confronti di Esposito, mentre Colace e Minutella sono finiti sotto procedimento disciplinare al Csm per le palesi irregolarità riscontrate.
Esposito ha però dovuto aspettare quasi un altro anno prima che il gip di Roma, al quale erano stati trasmessi gli atti dell’indagine per competenza territoriale, stabilisse l’archiviazione di tutte le accuse mosse nei suoi confronti, accogliendo la richiesta dei pm romani. Anziché chiedere l’archiviazione delle accuse in virtù dell’inutilizzabilità delle intercettazioni, questi hanno demolito nel merito le accuse rivolte dalla procura di Torino contro l’ex senatore, parlando di assenza di prove e sottolineando l’esistenza di mere “congetture”, di tesi “irragionevoli” e persino di errori dei colleghi torinesi nella configurazione delle fattispecie penali.
Esposito viene prosciolto dopo sette anni. Vittoria? “Io non ho vinto, io ho retto – risponde Esposito – Non mi sono spezzato, mi sono solo piegato. Ho tenuto botta. Ma non ho vinto. In realtà, la vittoria l’ha ottenuta la procura il giorno in cui mi ha indagato e il giorno in cui ha chiuso le indagini”. “Questa vicenda, oltre a massacrarmi sul piano personale e famigliare, ha prodotto dei danni enormi anche sul piano economico. Non mi riferisco solo alle spese legali. Per lavorare ho fatto una fatica mostruosa. Devo dire grazie a quei pochi imprenditori che non si sono fatti influenzare da tutto ciò che veniva scritto su di me e mi hanno fatto lavorare. Senza il loro sostegno non so se avrei retto”.
Al massacro mediatico-giudiziario si è aggiunto anche l’isolamento sociale e politico. “Mi sono ritrovato a combattere questa battaglia nella quasi totale solitudine”, afferma Esposito. “I primi a sparire sono stati quelli del mio partito, il Pd”. “Ciò che rimprovero al Pd è di non avermi processato. Mi sarei aspettato di essere chiamato, di essere chiuso in una stanza e che mi avessero chiesto la mia versione dei fatti. Invece non è avvenuto niente. Sono spariti tutti, o quasi. Qualcuno ha anche festeggiato. So benissimo di chi si tratta e provo per loro soltanto pena. In questi giorni, dopo sette anni, mi sono persino arrivati messaggi del tipo ‘non abbiamo mai dubitato della tua onestà’. Un’ipocrisia assoluta. C’è persino stato un esponente grillino che mi ha chiamato per esprimermi la sua vicinanza e solidarietà. Gli ho detto ‘ma sarai mica cretino, ma cosa mi stai telefonando a fare?’. Preferisco quelli coerenti agli incoerenti, ed è la ragione per la quale non posso tornare a fare politica”.
Mentre racconta la sua incredibile storia, notiamo che Esposito non nomina mai il nome e il cognome del pm autore dell’indagine che lo ha massacrato. “Per me non ha la dignità di essere nominato”, spiega Esposito in maniera secca. “Dopo aver vissuto due anni di buio, ho cominciato a reagire – racconta – Ho iniziato a leggere gli atti giudiziari di altre persone coinvolte in inchieste dello stesso pm, e ho cominciato a seguire le udienze di questi processi che non mi riguardano. Come gli umarell che guardano i cantieri, io vado a seguire le udienze. L’idea che mi sono fatto, leggendo gli atti e assistendo agli interventi in aula di questo pm, è che nella migliore delle ipotesi abbia un livello di superficialità molto alto, visti anche i tanti insuccessi da lui ottenuti. Ma quando si indossa una toga non si fa l’impiegato al catasto. Si dispone di un potere che può distruggere la vita delle persone”.
“E’ proprio questo che mi fa dire che, anziché pensare a epocali riforme della giustizia, sarebbe meglio riflettere su una riforma semplice, che è quella della responsabilità del magistrato: chi sbaglia paga”, dice Esposito. “Non voglio un pm impaurito o assoggettato. Voglio un maggior senso di responsabilità, proprio per la delicatezza dell’incarico che i magistrati rivestono e gli effetti che la loro attività genera sulle persone”. Le toghe le risponderebbero che compito del pm non è ottenere condanne. “Non penso che se un pm fa un’indagine e questa viene archiviata debba risponderne – replica Esposito – Io mi riferisco a vicende, come la mia, caratterizzate chiaramente da gravi errori e palese ignoranza delle norme. Se poi un pm su dieci procedimenti se ne vede archiviare cinque, quanto meno qualcuno dovrebbe dirgli: ‘Scusa, forse questo non è il tuo lavoro’. Come avviene in qualsiasi settore”.
Su queste pagine mesi fa elencammo le tante inchieste condotte dal pm Colace finite nel nulla: quella sullo smog a Torino, quella contro il deputato leghista Molinari, quella contro i vertici del Salone del libro di Torino, quella sulla cosiddetta “Sanitopoli”, e tante altre. L’Associazione nazionale magistrati del Piemonte emise un comunicato contro il Foglio, sostenendo che nell’articolo avessimo attaccato il pm in questione e oltrepassato il diritto di critica. “Una vicenda incredibile – commenta Esposito – I magistrati si sentono incriticabili e infallibili. Io avevo capito che infallibile era solo Dio, e forse neanche lui. Ovviamente io non penso che la magistratura sia composta soltanto da incapaci, anche perché nel mio percorso ho incontrato giudici che hanno fatto bene il loro lavoro. Ma il buon lavoro viene screditato dal cattivo lavoro”.
“In questa vicenda poi – aggiunge l’ex senatore – non è mai stato evidenziato un fatto molto grave: il pm ha operato avendo sopra di lui un procuratore aggiunto che ha controfirmato tutte le sue azioni, ma soprattutto si sono susseguiti vari procuratori capo che avevano il compito di controllare la sua attività. Un’altra responsabilità gigantesca ce l’ha la polizia giudiziaria e chi la comandava. Le informative sono zeppe di opinioni personali e morali. Ho sempre creduto che l’Italia non fosse l’Iran, e che da noi non ci fosse la polizia morale. Dopo aver letto le informative mi sono fatto qualche domanda”.
Uscito da questo buco nero, Esposito esclude l’ipotesi di un ritorno alla politica (“non ci penso minimamente”). Cosa farà? “Vorrei innanzitutto curare, per quanto possibile, le ferite dei miei cari e ridare loro un po’ di orgoglio per il loro padre e marito, ma anche per loro stessi. Spero poi di poter cogliere qualche opportunità di lavoro che in questi anni mi è stata negata. Vorrei poi provare sul piano culturale a costruire una serie di appuntamenti in giro per l’Italia per raccontare cosa significa vivere vicende giudiziarie come questa. Per provare a ridare un minimo di base al garantismo che oggi è in grave via di estinzione, a sinistra come a destra”. Esposito si ferma. Riflette per qualche secondo e poi riprende: “Spero soprattutto di recuperare un po’ di serenità e di spensieratezza. Mi piacerebbe fare un bel viaggio in moto con mia moglie, cosa che ho smesso di fare. E magari riuscire ad andare ai concerti rock”.
C’è un’anima rock dietro Stefano Esposito? “Sì, sono un fan accanito di Bruce Springsteen. Ho assistito a decine di suoi concerti e ho deciso di portare tutta la mia famiglia al concerto di Milano del prossimo giugno. Spero che quello sarà il momento in cui veramente riuscirò a chiudere questa gigantesca sofferenza che mi sono portato dietro e che ho ancora dentro di me”.
“Mi ero poi promesso anche di fare una cosa”, aggiunge Esposito, col sorriso timido di un ragazzino. “Mi farò un piccolo tatuaggio con una canzone di Springsteen che mi ha accompagnato in questi anni: No Surrender. Sono sempre stato una persona poco avvezza a queste cose, infatti non ho tatuaggi, ma questa è una cosa che farò. Avevo fatto una promessa con me stesso. Lo farò sulla parte interna del braccio sinistro, piccolo però”. Diciamo che, dopo questi sette anni, di segni addosso già ne ha parecchi. “I segni addosso me li hanno fatti gli altri, almeno questo me lo faccio io”.