Il giovane influencer si barcamena nella sua esistenza con coriacea resilienza, mostrando al suo pubblico social le zone più degradate di una città ridotta dimensione gaming, in cui il suo punto di vista diventa immediatamente il nostro
Maledetti influencer, parafrasando il Curzio Malaparte che nella sua ariosa e cinica invettiva contro le micro-storie dei popoli toscani finiva per analizzare e snudare le miserie degli Italiani tutti. Ed è proprio attraverso i video digitali degli influencer, che appaiano essi in concreto su YouTube, nelle stories di Instagram o su TikTok, con i vari codici tecnici e gli stili espressivi differenziati a seconda del medium e della piattaforma, che noi ci immergiamo nel cuore di una città che trascolora, lenta, fangosa, inesorabile in un tramonto di fiamme ed escrementi. Gli influencer fanno, come usa dirsi, content, che è qualcosa di ulteriore rispetto la mera traduzione letterale di “contenuto”: il content è la loro professione, monetizza e produce salario in visualizzazioni e, in alcuni casi, pubblicità e per attrarre deve avere stile personale, riconoscibilità e a volte forma rappresentativa eccessiva. E’ un contenuto plasmato e cesellato ad arte e nutrito con il potere della attrattività. Non solo sensazionalismo o teatro posticcio, ma ricerca di contenuti che siano sintonizzati su qualcosa che per il volubile pubblico delle praterie digitali presenti sfere di interesse.
Primo Nero è un giovane della Costa d’Avorio, lavora in un ristorante della Capitale e ha alle spalle un corso di cucina seguito con profitto; si barcamena nella sua esistenza con coriacea resilienza, volendo usare questo abusato termine e ha fatto di necessità virtù. Non si lamenta della propria condizione, perché arriva da una famiglia povera e da un paese altrettanto povero. In un video di Cicalone, che lo ha intervistato e che spesso lo porta con sé, il ragazzo racconta la propria storia e lo fa a beneficio di un ex detenuto sudamericano, ospite di una comunità: alla usuale e santificante obiezione di spicciola sociologia, che di recente abbiamo sentito evocare pure a proposito degli scontri nel milanese Corvetto e che viene sparsa a piene mani pure ogni volta che accade qualcosa di violento e di spiacevole nelle anomiche periferie capitoline, secondo cui spesso in certi contesti non ci sarebbe alternativa alla delinquenza, il buon Primo Nero obietta che la alternativa c’è sempre. Parola di chi non arriva dalla periferia romana o milanese o torinese ma dalla Costa d’Avorio, e se uno pensa che quelle periferie possano essere peggio di alcuni paesi africani o scambia le guerre etniche del Rwanda o quelle del Sudan con la criminalità di Termini dovrebbe rivedere le proprie scale valutative.
Ma cosa mostra Primo Nero? Su TikTok e su Instagram, se ne va in giro per la città, e non esattamente per i quartieri bene. Il ventre di Termini. Viale Palmiro Togliatti. La Prenestina. Certe zone della Laurentina. Anfratti rugginosi. Vertigini di degrado e bottiglie spaccate, sana ironia, fanfaronate, lui che chiede un euro ai passanti, spesso stranieri come lui, o persino alle borseggiatrici, al grido di “o mi dai un euro o grido pickpocket”, in una parodia di Cicalone, entra in negozi di cittadini cingalesi e del Bangladesh, trasformati in “pankla”, facendo finta di essere inseguito dalla polizia e chiedendo asilo, fino a che un “pankla” in un video, detour debordiano perfetto, chiede a lui l’euro diventandone l’erede morale, “Primo Bankla”. Inkredibile, dice, ripete e scrive in un mantra, una città ridotta a dimensione di gaming, Gta nel caso concreto, una visuale in soggettiva, point-of-view, in cui Primo Nero siamo noi: ci mostra, coi suoi occhi e la sua videocamerina, lo scorrere di passanti, pendolari, ragazze, immigrati che lavorano o faticano o caracollano e che lui coinvolge in estemporanei siparietti.
A volte, come in un video notturno su un bus, esagera e finisce per profanare il sonno dei passeggeri collassati, alcuni per eccessiva gradazione alcolica ma altri, c’è da scommetterci, di ritorno da lavoro e desiderosi solo di accasciarsi tra le braccia di Morfeo. Ma al netto di qualche caduta di stile, Primo Nero è bonario, simpatico, si dimostra rispettoso e anche il suo content, che deve seguire le logiche di cui si diceva prima, è giocoso e finisce per elaborare e rileggere gli stereotipi classici sui migranti, sul degrado urbano, su quelle zone della città che non visiteremmo nemmeno sotto tortura. Un intrattenitore del digitale, una voce e degli occhi più efficaci contro il razzismo e gli stereotipi di tante campagne pubblicitarie mainstream.