L’offensiva anti Assad procede a ritmi indiavolati che il regime siriano non sa più controllare

L’aiuto degli alleati di Damasco – l’Asse della resistenza più la Russia – potrebbe essere troppo piccolo e troppo in ritardo per salvare il regime. Intanto Hts cerca di ottenere il sostegno della popolazione siriana

Il carcere centrale di Hama, nell’ovest della Siria, è stato liberato ieri assieme a tutta la città: i prigionieri sono usciti con i loro sacchetti di plastica, gli occhi cerchiati di sorpresa e sollievo, gridando “Dio è grande” – alcuni erano rinchiusi lì da anni. Gli abitanti hanno accolto i liberatori con lacrime di festa: nel 2016, il regime siriano applicò alla città la sua formula brutale delle bombe e della fame, tenendola sotto assedio, bloccando gli aiuti, costringendola a una lunga, straziante resa. Hama è nei ricordi dei siriani anche per l’eccidio che ci fu nel 1982: Hafez Assad, il padre dell’attuale dittatore siriano Bashar, era soprannominato “il macellaio di Hama”.

L’esercito di Assad si è ritirato proprio come aveva fatto una settimana fa, ad Aleppo. Dal 2011, quando cominciò la primavera siriana e la repressione del regime, fino alla fine di questo novembre, Assad aveva perso due città, Raqqa e Idlib: in otto giorni ha perso la seconda e la quarta città più grandi della Siria – e ora tutti gli occhi sono puntati su Homs, che sta a cinquanta chilometri e che, come dice il citatissimo Charles Lister, direttore del programma siriano del Middle East Institute e sanzionato dalla Russia, è un obiettivo prendibile: la sua caduta potrebbe essere rapida. Le aree attorno a Homs, che dista una cinquantina di chilometri da Hama, “potrebbero facilitare l’avanzata dell’opposizione”, ha scritto Lister su X. L’opposizione è Hayat Tahrir al Sham (Hts), un gruppo jihadista che si è tinto di pragmatismo, si è organizzato in modo straordinariamente efficace ed è riuscito in pochissimi giorni a infliggere un danno non ancora misurabile al regime assadista.

Se si guarda la mappa della Siria, la strategia della riconquista è chiara: arrivando a Homs, si interromperebbe il collegamento fra Damasco e la costa del Mediterraneo, dove ci sono le basi militari aeree e navali, incluse quelle gestite dalla Russia. Secondo i dati di Syria Weekly, la newsletter di Lister, le forze contro il regime hanno raddoppiato il territorio sotto il loro controllo dal 27 novembre a oggi, ma non lo hanno fatto “a sorpresa” (la sorpresa è di chi si è riempito la bocca con la fantomatica stabilizzazione siriana): all’inizio di settembre, dieci gruppi jihadisti armati si erano riuniti per pianificare un assalto alla parte occidentale di Aleppo, la zona da cui l’esercito del regime ha lanciato per anni i suoi attacchi. La notizia però era trapelata e l’intelligence turca aveva detto di sospendere i piani, creando molte tensioni dentro all’opposizione e insospettendo anche il regime siriano che infatti ha ricominciato a fare, assieme ai russi, molti bombardamenti, lanciando almeno duecento droni a novembre contro obiettivi civili. Hts e il suo leader, Abu Mohammad al Julani, hanno deciso di continuare i loro piani, avevano già alcune cellule dentro ad Aleppo, che sono state attivate il 25 novembre, quando l’“operazione deterrenza” ha avuto inizio. Ieri Julani, che alcuni avevano dato per morto e che ha sulla testa una taglia americana da 10 milioni di dollari, ha annunciato personalmente la conquista di Hama e ha cominciato a utilizzare il suo vero nome: Ahmed al Sharaa.

Hts e gli altri gruppi hanno preso anche l’aeroporto e i mezzi – soprattutto russi – che stazionavano lì, come è già accaduto ad Aleppo, e questa è la ragione per cui alcuni esperti sostengono che il regime siriano non si può riprendere da questo assalto, che ora sembra inarrestabile. La Repubblica islamica d’Iran, principale alleato di Assad oltre alla Russia, sta mobilitando i suoi miliziani e quelli del gruppo libanese affiliato Hezbollah per andare in aiuto alle forze siriane: in passato questo sostegno è stato decisivo, ma oggi Hezbollah è debilitato e le milizie sciite, che arriverebbero dall’Iraq, sono secondo molti analisti meno formate e con meno armi. In altre parole: l’aiuto degli alleati di Damasco – l’Asse della resistenza più la Russia – potrebbe essere troppo piccolo e troppo in ritardo per salvare il regime.

Hts intanto vuole il sostegno della popolazione siriana, fa discorsi ecumenici, dice di non voler far guerra a nessuno se non al regime di Assad e ad Aleppo ha già dato il potere a gruppi mezzi civili e mezzi militari che sono considerati affidabili dai cittadini. Julani ha persino detto di essere pronto a dissolvere Hts per consolidare le nuove istituzioni di Aleppo. Le sue parole vanno prese con cautela, ma lui sembra avere una strategia, cosa che non si può dire dell’Europa perennemente distratta e ancor meno di chi, come l’Italia, ha tentato la normalizzazione del regime di Assad.

Di più su questi argomenti:

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d’amore – corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d’amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l’Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell’Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi

Leave a comment

Your email address will not be published.