Se il cane è sempre più scemo e di notte la strada è deserta, con il telefono prima in mano e subito dopo in una frazione di Bologna, rubato da un ragazzo incappucciato. Ma l’esigenza di essere una madre guastafeste si scontra con il mal di gola, finendo per rompere tutte le sedie
Quante volte ti ho detto che non devi portare fuori il cane dopo le undici di sera? La strada si svuota, i bar chiudono, anche il negozio pakistano accanto al portone tira giù la serranda, tu hai la musica nelle orecchie e non ti accorgi di niente, il cane è ogni giorno più scemo, insomma non sono tranquilla. Mia figlia rotea gli occhi all’indietro, soffia il fumo della sigaretta e mi risponde così: che fatica però mamma. Che fatica, dico io spaccando con delicatezza una sedia, ripetere sempre le stesse cose. Rinuncio a urlare perché ho mal di gola e in questi giorni non posso perdere la voce, ma la faccia è rossa come quando si urla, il collo gonfio (saranno le tonsille?) e però sento una specie di rassegnazione in corpo.
Mia figlia esce di casa per andare da amici all’ora in cui io alla sua età avevo il coprifuoco, ma ho promesso che non farò paragoni, quindi mi fisso solo sul cane scemo, che io alla sua età non avevo, e che lei porta fuori due volte al giorno, non gratis. Lei dice: lo porto quando torno, e scompare. Io quindi vado a dormire con questo cane che mi segue in bagno, in camera da letto, in cucina, mi segue e m guarda fisso negli occhi perché sono io la sua ultima speranza. Quando vede che prendo un libro e mi sdraio, fa una faccia così delusa che invece di alzarmi e portarlo fuori in pigiama mando un messaggio recriminatorio a mia figlia: il cane mi fissa, io non ne posso più. Mia figlia incredibilmente mi visualizza e dopo poco risponde: eh, ma io mi sto divertendo. Voglio essere la madre guastafeste? Sì, ma non ne ho il coraggio, quindi mi ritiro nel mio silenzio oltraggiato e spengo la luce per non vedere gli occhi del cane.
A un certo punto però, lei torna. Torna e mi scrive: sto tornando. Io sto dormendo ma con il terzo occhio leggo il messaggio e mi tranquillizzo. Ecco, vorrei dire questo: mai tranquillizzarsi. All’una e trenta è tornata, all’una e quaranta c’è il suo ultimo accesso su whatsapp. Ultimo nel senso di ultimo, perché all’una e quaranta, con la strada vuota che terrorizza sua madre guastafeste e uccello del malaugurio, un ragazzo incappucciato ha visto questa ragazza da sola con il cane scemo, la musica nelle orecchie e il telefono in mano, le ha dato una spinta e strappato il telefono ed è scappato via. Il cane essendo scemo, come si diceva, ha solo tirato indietro le orecchie, poi ha continuato ad annusare il marciapiede. La ragazza si è spaventata ma ha pensato: mi è andata bene. Nessuno dei pochi passanti si è accorto di qualcosa, il cane ha fatto la cacca. Lei è tornata a casa ed è andata a dormire, io tutto questo l’ho scoperto la mattina dopo, mentre di nuovo delicatamente spaccavo un’altra sedia sempre per motivi di misurazione del tempo totalmente distopica. “Mamma, non avevo la sveglia perché stanotte mi hanno rubato il telefono”.
Considerato che quel telefono era stato acquistato dopo il furto di un altro telefono, questa volta alla stazione Termini, considerato che lei era viva nel suo letto e reclamava un cappuccino, non ho avuto nemmeno una crisi di nervi, ho meccanicamente bloccato la sim, meccanicamente comprato un altro telefono, il più schifoso possibile, e l’ho meccanicamente accompagnata a fare la denuncia. Lei diceva: perché non parli? Perché ho già detto tutto, perché ho già rotto tutte le sedie. Ho ricevuto una telefonata da una frazione di Bologna: il telefono è là, arrivato nella notte da Roma chissà in quali circostanze, io ero fra i contatti d’emergenza sotto il nome: mater dolorosa.