Oliviero Toscani: essere forti significa continuare a porsi domande

Il fotografo accetta di parlare del concetto di forza in un momento in cui appare fragile a causa della sua malattia: “La dignità è molto importante nella forza, come quella del muratore di Sander, mantenere il rispetto nei confronti di se stessi è il modo per rispettare gli altri”

In un momento in cui appare fragile per via della malattia, Oliviero Toscani accetta di parlare del concetto di forza. La forza di Toscani è nel lavoro, che non ha mai smesso di svolgere, e l’occasione di questa conversazione è l’uscita in edicola dei primi due fascicoli dedicati alla fotografia di oggi, curati da lui stesso che ha scelto i temi e le immagini, per raccontare questo scorcio di vita digitale che ci vede tutti fotografi entusiasti.

È il pomeriggio della prima domenica di dicembre, fuori la giornata è gloriosa, come direbbero gli americani: freddo, ma cielo terso, sole invernale ma pieno. Lo studio di Toscani è ampio, con due grandi vetrate che si fronteggiano e che si aprono su un paesaggio verde: sua moglie Kirsti ogni tanto le fa scivolare silenziosamente per portare uno yogurt, o un bicchiere d’acqua con una lunga cannuccia. “Mi manca una sorsata di acqua fresca”, dice Toscani: “Sai quando raccogli l’acqua zampillante con le mani da una fonte di montagna”. Al muro i suoi ritratti di Federico Fellini, Carmelo Bene, Andy Warhol, una Marilyn che però non è sua, quando è morta Oliviero aveva vent’anni; quattro poster di propaganda, comprati in Cina, di Mao, Lenin, Marx, Stalin. Si fa una domanda superflua: “Eccoli là gli uomini forti. A parte Marx, in cosa consisteva la forza degli altri tre? Chi esercita il potere con la sopraffazione e la violenza che tipo di forza dimostra?”. Appoggiato su un tavolo “L’obbedienza non è più una virtù” di Don Lorenzo Milani. Mi mostra una foto di August Sander, forse la sua preferita in assoluto perché mi ha parlato di questa immagine molte volte. Raffigura un muratore che tiene sulle spalle, in perfetto equilibrio, una piccola piramide di mattoni: sono appoggiati su un asse che ha un incavo evidente in corrispondenza del collo dell’uomo, che le assicura stabilità poggiando sul dorso, tanto che il muratore può permettersi di tenerla con la mano sinistra, mentre il braccio destro fa un angolo acuto appoggiato morbidamente su un fianco.

“La forza che c’è in questa foto è la forza della dignità e guarda che eleganza”, osserva. “Se penso a quando mi sono sentito forte, direi in tutti quei momenti in cui non ho avuto coscienza di esserlo. È quando fai una cosa che nemmeno tu capisci che sei forte, è quando capisci meno, quando ti interroghi, che sei forte”. Il fisioterapista sistema le sue cose e saluta. Un ragazzo e una ragazza colombiani, molto giovani, si prendono cura di quest’uomo che è stato grande e grosso, lo aiutano ad alzarsi dalla sedia per raggiungere una poltrona, gli appoggiano una coperta sulle gambe. “Ora io non mi sento forte”, dice: “Allora, forse per quello che ho detto prima, probabilmente lo sono. Ora mi sento bloccato, non è questione di forza o di debolezza, è una sensazione che non ho mai provato, è questo blocco che mi impedisce di muovermi e mi fa parlare male. La dignità è molto importante nella forza, come quella del muratore di Sander, mantenere il rispetto nei confronti di se stessi è il modo per rispettare gli altri”. Chi ti viene in mente se ti chiedo di pensare a un uomo forte? “Il primo è Muhammad Ali, poi Mandela, poi Martin Luther King”.

Tutti neri? “No, anche Brunelleschi. Marco Pannella: non conosco nessuno che si sia battuto come lui per le sue idee. Poi Gandhi, certo”. La forza delle idee. “Vuol dire che si rimane sorpresi da un’idea che non ci sarebbe mai venuta in mente e quando ci illumina diventa reale, smette di essere un’idea e diventa una realtà”. La forza del destino. “Non è il destino che decide per noi. Siamo noi che chiamiamo destino una tra le tante possibilità che la vita ci mette davanti, anche quella che non possiamo scegliere”. Gli racconto della mostra di Fiorucci in Triennale e di quella di Giovanni Agosti su Gae Aulenti. Gli porto i saluti di Giovanni, di Elisabetta Prando, di Paola Paoletti, di Paola Boncompagni. Mi dice che il giorno prima era stato a trovarlo Francesco Merlo, che si era fatta viva Francesca Mattei ma che era ripartita per il Namibia, che lo hanno chiamato Gad Lerner e Elly Schlein. Jannick Sinner gli ha mandato un messaggio video.

La vita di fuori entra in questo studio, ora sistemato come un miniappartamento con tutte le comodità, compreso un maxischermo per vedere i film, e che ha visto passare nei tempi eroici di Fabrica, tra gli altri, Tibor e Maira Kalman, Philippe Starck, Peter Gabriel, Marco Muller, Godfrey Reggio, Alex Marashian, Adam Broomberg e Oliver Chanarin, James Mollison, Jaime Hayon. Toscani non ama che gli si chieda come sta, preferisce che gli si porti qualche frammento di vita da fuori. “Sii forte! si dice…ma perché si dice così? Lo si dice a chi vediamo debole, è un pensiero gentile che rivolgiamo a chi sappiamo ha bisogno di forza per continuare a vivere, ma non si può essere sempre forti”. La forza della fotografia. “Una fotografia è più importante della realtà. Ecco, ora, per esempio, sta cascando una stella e noi non lo sappiamo perché non la vediamo. Se qualcuno la fotografasse allora sapremmo che è caduta, l’immagine vince sulla realtà”.

Guidando per tornare a Treviso, costeggio Campigallo con i cavalli che pascolano tranquilli; a destra vedo il borgo di Casale arroccato, lassù in cima; i cani smettono di azzuffarsi e mi guardano passare. È tutto come prima, nel suo studio Oliviero continua a lavorare, pensa alle foto da scegliere: “Quando vengono Susanna e Rosella per i definitivi, torna anche tu”.

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