La banca fondata dal banchiere ed ex ministro Corrado Passera è finita sotto un attacco speculativo con un “sell off” delle sue obbligazioni e delle sue azioni fino a perdere quasi un quarto del suo valore di Borsa nel mese di novembre
Milano. Mentre il risiko bancario continua a dominare le cronache finanziarie (con Francesco Gaetano Caltagirone salito al 5 per cento di Mps dal precedente 3,5 per cento), un’altra storia legata al mondo del credito è entrata nel radar del mercato. Illimity Bank, fondata dal banchiere ed ex ministro Corrado Passera, alcuni giorni fa è finita sotto un attacco speculativo con un “sell off” delle sue obbligazioni e delle sue azioni fino a perdere quasi un quarto del suo valore di Borsa nel mese di novembre (meno 45 per cento da inizio 2024).
Sono passati neanche sette anni da quando Passera lanciava, con un’operazione inedita per l’Italia, la sua banca di nuova generazione raccogliendo oltre 600 milioni di capitali tra investitori italiani ed esteri. II risultati non hanno tardato ad arrivare grazie soprattutto all’esperienza e alla leadership di Passera, che ha tessuto relazioni e avviato partnership a vari livelli con il mondo finanziario. Ma poi qualcosa si è inceppato. Una trimestrale particolarmente debole (terzo trimestre di quest’anno) ha deluso le aspettative degli investitori, che nutrono dubbi sulla capacità di Illimity di mantenere la redditività nel tempo con un mercato degli Npl entrato in una fase di difficoltà. Tutto è apparso poi ancora più sinistro con la notizia dell’ispezione della Banca d’Italia presso gli uffici di Illimity durante la scorsa estate e che si è conclusa con alcuni suggerimenti di carattere contabile.
In realtà, quello che sta succedendo a Illimity potrebbe essere la spia di un cambiamento destinato ad avere un impatto di tipo sistemico. Quando, negli anni di profonda crisi e di fallimenti, il mondo bancario ha ripulito i bilanci si è liberato di centinaia di miliardi di crediti cattivi, creando di fatto il florido mercato di compravendita degli Npl sul quale operatori come Illimity hanno costruito il proprio modello di business. Ebbene, se adesso Corrado Passera ha deciso di uscire da questo settore per concentrarsi sul corporate e investment banking è perché quel modello di business è giunto al capolinea. La sfida dell’ex ministro sarà quella di dimostrare, con un nuovo piano strategico atteso nel 2025, che la sua banca riuscirà a navigare diversificando l’attività e limitando la gestione di crediti (solo) incagliati a singole operazioni di rilancio aziendale (il sostegno finanziario per il pastificio De Angelis, l’Olio Dante e Jacob Cohen sono un esempio del cambio di passo).
Ma le ragioni per cui a un certo punto della sua breve storia Illimity è entrata in crisi ricordano che è in atto un cambiamento di vasta portata per un settore che si è rivelato fondamentale per il risanamento delle banche italiane. Le cose sono cominciate a mettersi male quando la crescita dei tassi d’interesse, facendo aumentare il costo della raccolta di capitale, ha reso meno remunerativo il business degli operatori di Npl che erano prosperati negli anni dei tassi zero. In più, sul mercato sono rimasti ormai solo i crediti più problematici e di difficile e dispendioso recupero. Ma l’intoppo più grave si chiama “calendar provisioning” ed è una normativa della vigilanza europea che ha imposto alle banche che hanno in pancia gli Npl un maggiore assorbimento di capitale. Risultato, mentre gli istituti di credito tradizionali sono diventati sempre più solidi grazie al fatto di essersi liberati di crediti cattivi e di avere visto lievitare i profitti con i tassi d’interesse elevati, Illimity Bank ha cominciato a soffrire. Ora, non è detto che questa situazione rispecchi lo stato di salute di tutto il settore degli Npl perché, spiegano gli esperti, i grandi operatori riescono a compensare con le economie di scala, però è un segnale che qualcosa non sta andando nel verso giusto.
Una ricerca di Mediobanca spiega che “il mercato italiano dei crediti deteriorati è ora meno liquido rispetto al passato, limitando la capacità dei fondi finanziari di acquisire nuovi portafogli e incidendo negativamente sulla redditività attesa”. Eppure, l’esperienza italiana è considerata un modello a livello europeo. Se questo modello entra in crisi chi comprerà gli Npl dagli istituti in caso di nuove crisi che potrebbero portare a una nuova ondata di crediti deteriorati?