Forse siamo veramente alla riforma della giustizia. Ma con 40 anni di ritardo

Ai tempi del referendum Tortora, Sciascia disse: “Quando i giudici godono il proprio potere invece di soffrirlo, la società che a quel potere li ha delegati, inevitabilmente è costretta a giudicarli. E siamo a questo punto”. Non era ancora vero, ma oggi forse sì

E siamo a questo punto. Siamo al punto in cui capita di leggere come niente fosse sul Corriere della Sera una nota di Massimo Franco dal titolo: “Se alla fine rimane in piedi solo la riforma della giustizia”. Comunque vada a finire, è un titolo da mondo alla rovescia – un uomo che morde un cane, un delfino che nuota sui monti, un sole che sorge a occidente. Una cosa sola era certa, infatti: qualunque riforma poteva rimanere in piedi, salvo quella della giustizia, tanto che neppure fingevano più di provarci, ammaestrati a forza di scosse elettriche alla regola del “chi tocca i fili muore”. Il dossier giustizia era in grado di disarcionare ministri, silurare governi, impantanare bicamerali. Chiunque aspirasse a mantenersi al potere con un po’ di continuità sapeva che lo scontro con la corporazione togata doveva restare nell’ambito della retorica, degli annunci, dei convegni, delle occasionali rodomontate. Ebbene, conserverò il titoletto del diplomaticissimo Franco come un sintomo di qualcosa: forse si è definitivamente esaurita la spinta propulsiva del 1992, e il potere esorbitante dei pm italiani – un’anomalia che non trova riscontro nel resto del mondo libero – non dà più tornaconti a nessuno, non porta un voto, non fa vendere una copia. Ai tempi del referendum Tortora, Leonardo Sciascia parlò di una solenne resa dei conti: “Quando i giudici godono il proprio potere invece di soffrirlo, la società che a quel potere li ha delegati, inevitabilmente è costretta a giudicarli. E siamo a questo punto”. Non era vero. Non eravamo a quel punto. Le devastazioni civili, politiche e morali della magistratolatria erano appena cominciate, anche se Sciascia non poteva immaginarlo. Oggi forse “siamo a questo punto”, ma dopo una malattia durata quarant’anni chi oserebbe parlare di guarigione? Sarebbe un po’ come dire all’ex senatore Esposito, prosciolto dopo sette anni di surrealismo giudiziario, che la giustizia funziona.

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