La recensione del libro di Claudio Recalcati edito da Samuele editore, 140 pp., 15 euro
In questa nuova raccolta poetica di Claudio Recalcati (Milano, 1960) la luce e il buio dell’esistenza si offuscano e si compenetrano allo stesso tempo dando luogo ad una poesia viva, composta da una parola che cerca sempre di rifrangersi nelle innumerevoli sottigliezze della vita quotidiana. Non manca però il lirismo in questa silloge, se per lirico si intende quel vasto affresco di sentimenti ed emozioni private che il poeta milanese mette in rilievo all’interno del suo libro, ma appare anche una concezione dell’amore che porta con sé sofferenza e distanza, talvolta percepiti come una sorta di “esilio interiore”. La lingua di Recalcati allora si incrina e va alla ricerca di quelle zone d’ombra che esistono ma che non appaiono visibilmente in ogni individuo, e quando poi l’amore è così difficile da raggiungere resta solo la poesia a fare da tramite tra la lingua e quel desiderio così accecante: “Poiché amare sarà stato l’atto più difficile, / la tua battaglia immensa con la vita / e resteranno i volti intimoriti, / la meraviglia dei volti inazzurrati / che ti hanno accompagnato e / nel nubifragio dell’ultimo pensiero / chi tenderà la mano avrà il tuo nome”. E’ un costante teatro, uno scontro tra il bene e il male, tra il fuoco che divampa e l’acqua che tenta di spegnerlo, l’intento poetico di questo autore, non privo peraltro di un marcato slancio autoironico e spesso vittimista in pieno stile lombardo. Recalcati proviene infatti da quella linea che ha visto in Luciano Erba, Antonio Porta e Maurizio Cucchi i suoi principali sostenitori; e non è un caso se è lo stesso Cucchi ad arricchire questo bel volume della Samuele editore con le sue preziose parole, con una prefazione che mette in risalto proprio questo oscillare tra “cupezza e apertura possibile di luce, sia pure momentanea”, ma tuttavia necessaria. C’è anche – e questo è ovvio, in quanto l’appartenenza a tale linea è soprattutto una appartenenza geografica – la presenza di Milano in questa silloge, anche se si tratta di una Milano che ha poco a che vedere con il sentimento poetico dell’amore e della vitalità dei corpi di cui Recalcati si fa promotore nel corso dell’opera. E’ la cosiddetta “Milano da bere” al contrario ad apparire, in tutta la sua superficialità e meschinità, con il suo mito sociale degli anni 80 da sfatare. Essa diventa allora una grande città camuffata da città di provincia per il moraleggiare asfittico dei suoi abitanti e per la loro falsa ipocrisia, ricordando certe immagini di bassifondi baudelairiani attraverso versi in cui la poesia diventa aspra e fonte dell’invettiva la più tagliente: “Puttane e mentonieri son di casa / a Milano, astuti predatori di danaro / alcuni storpi che sono industriali / e vendono diamanti così come maiali. […] A Milano / nessuno insorge realmente, / nessuno è forte o potente ma / ognuno mostra facce da due ovaie”.
Claudio Recalcati
Vittima delle rose
Samuele editore, 140 pp., 15 euro