Oggi la sfiducia a Barnier. Ma le ipotesi di presidenziali anticipate o di uno “shutdown” sono remote

Era il grande saggio gollista che avrebbe riportato la Francia sulla strada della ragione. Ma a soli tre mesi dalla sua ascesa a Matignon, e salvo ripensamenti improbabili, oggi sarà il suo ultimo giorno alla guida del governo francese

Parigi. Salvo ripensamenti dell’ultimo minuto alquanto improbabili, oggi sarà l’ultimo giorno di Michel Barnier alla guida del governo francese, che verrà sfiduciato da una mozione di censura votata congiuntamente dal Nuovo fronte popolare, la coalizione delle sinistre, e il Rassemblement national, il partito sovranista di Marine Le Pen e Jordan Bardella. Barnier, nominato lo scorso 5 settembre al termine di quasi due mesi di trattative tra il presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, e i vari gruppi politici dell’Assemblea nazionale, era visto come il grande saggio gollista che avrebbe riportato la Francia sulla strada della ragione e della stabilità dopo anni di eccessi finanziari e incertezze istituzionali. Ma a soli tre mesi dalla sua ascesa a Matignon, l’ex capo di negoziatore della Brexit per l’Ue rischia di passare alla storia come il più effimero primo ministro della Quinta Repubblica francese. Più di 130 mozioni di censura sono state depositate dal 1958 in poi, ma una sola è stata adottata: la mozione del 1962 contro l’elezione del presidente della Repubblica a suffragio universale, che fece cadere l’allora governo Pompidou. Quella di oggi contro il disegno di legge sul finanziamento della Sécurité sociale, il generoso sistema di protezione sociale francese, potrebbe dunque essere la seconda della storia della Cinquième.



“Uno degli scenari più probabili è la nomina in tempi brevissimi di un nuovo primo ministro che riprenda in mano la legge di bilancio e la faccia passare d’urgenza prima della fine dell’anno. L’idea di Macron è quella di creare una coalizione che includa i gollisti, i socialisti e il blocco centrale”, spiega al Foglio François-Xavier Bourmaud, giornalista politico dell’Opinion e autore di due libri sul capo dello stato francese. Un fronte dei responsabili, un arco repubblicano “che permetta di trovare un accordo su tre-quattro testi legislativi e resistere almeno fino alla prossima estate, quando Macron potrebbe sguainare nuovamente l’arma della dissoluzione”, spiega Bourmaud. I mercati finanziari sono particolarmente inquieti per la caduta del governo Barnier e la situazione di precarietà istituzionale che potrebbe andarsi a creare. La scorsa settimana, mentre il rendimento dei titoli di stato francesi raggiungeva quello dei bond greci, Barnier è andato su Tf1 a disegnare uno scenario apocalittico per la Francia in caso di sfiducia. “Ci sarà una tempesta, ci saranno gravi turbolenze sui mercati finanziari”, avvertì Barnier. Ieri, durante il question time all’Assemblea nazionale, in risposta al capogruppo dei deputati comunisti André Chassaigne, il primo ministro ha ribadito il concetto, dicendosi “sicuro” che la sfiducia “renderà tutto più difficile e grave”.

“In caso di mancata approvazione di una legge di bilancio per il 2025, la Francia entrerebbe in un periodo di incertezza economica, ma a breve termine il paese può comunque funzionare, andare avanti. Lo abbiamo visto quest’estate, quando per due mesi c’è stato un governo per gli affari correnti guidato da un premier dimissionario, Gabriel Attal. Certo non è la situazione ideale, ma è sostenibile se limitata nel tempo”, dice François-Xavier Bourmaud. Che esclude anche l’ipotesi di uno “shutdown” all’americana per la Francia evocata da alcuni, perché “ci sono delle leggi speciali che permettono al governo di emanare decreti per riscuotere le imposte necessarie per finanziare le attività dello stato, dunque garantire gli stipendi e i pagamenti”.



Barnier non è ancora ufficialmente caduto, ma a Parigi già impazzano i nomi che potrebbero sostituirlo a Matignon: l’ex Commissario europeo per il Mercato interno Thierry Breton, l’ex primo ministro socialista Bernard Cazeneuve e l’attuale ministro delle Forze armate Sébastien Lecornu. “Con Breton, sarebbe un governo più tecnico. La nomina di Cazeneuve incarnerebbe invece un’ouverture a sinistra. Se invece la scelta ricadesse su Lecornu, che viene dal gollismo, andrebbe letta come una volontà di restare a destra e tendere la mano al Rassemblement national. Ogni nome risponde a una logica politica”, spiega Bourmaud. Il piano segreto di Le Pen, dicono alcuni osservatori, è quello di creare le condizioni affinché Macron si dimetta e vengano organizzate delle presidenziali anticipate. “Ma anche se ci fosse un nuovo governo ogni settimana, dunque una situazione di grande instabilità – sottolinea Bourmaud – nulla dal punto da vista legislativo obbligherebbe Macron a dimettersi”.

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