L’abbiamo intervistato spesso, e recensito i suoi molti libri, perché aveva molto da dire. Perché era un umanista. Aveva trovato questo finale di partita, per sé e il suo lavoro: “Siamo fatti a immagine e somiglianza di Dio”
“Finita è finita, sta per finire, sta forse per finire”, è l’inizio del Finale di partita di Beckett, mentre il rottame Hamm si chiede scandagliando il buio “non può darsi che noi… che noi… si abbia un qualche significato?”. Aveva scandagliato tutte le sue domande, “la mia memoria interiore, così la definisce sant’Agostino”, e anche quelle nascoste nella mente dei suoi pazienti, e s’era dato significati buoni anche ora che la sua lunga vita è finita, a 94 anni. Eugenio Borgna, “psichiatra gentile” nei titoli frettolosi, è stato uno dei più grandi medici non solo italiani, sperimentatore dei metodi cui poi Basaglia darà legge. L’abbiamo intervistato spesso, e recensito i suoi molti libri, perché aveva molto da dire. Perché era un umanista, “capire qualcosa del dolore, dell’angoscia, della disperazione, richiede conoscenze di psichiatria ma anche di filosofia, di letteratura e di poesia”. E “la spina del dolore, da Eschilo a Simon Weil, ha sempre rappresentato la possibilità per un difficile consapevolezza”. Aveva trovato questo finale di partita, per sé e il suo lavoro: “Siamo fatti a immagine e somiglianza di Dio. Questo è l’ultimo fondamento che consente di guardare l’altro dall’unico punto di vista che mai consentirà di venir meno al rispetto di una dignità, e di una libertà assediate dal male”.