Alcuni intellettuali europei hanno firmato un appello per chiedere di liberare il romanziere arrestato in Algeria. Le ong dei diritti umani, diversamente da quanto accaduto con il terrorista palestinese Walid Daqqah, non hanno proferito parola
“Noi, scrittori e giornalisti tedeschi e internazionali e rappresentanti di organizzazioni culturali, chiediamo la solidarietà a Boualem Sansal. C’è solo una cosa che si può dire al governo algerino: nessuno scrittore dovrebbe essere incarcerato a causa delle sue opinioni. Chiediamo il suo rilascio immediato! Se le democrazie non si oppongono a tali politiche, andranno perdute”. A firmare l’appello tedesco sono, fra gli altri, la storica dei gulag Anne Applebaum, la scrittrice canadese Margaret Atwood, l’israeliano David Grossman, Elfriede Jelinek (Premio Nobel per la letteratura 2004), Herta Müller (Premio Nobel per la letteratura 2009), Orhan Pamuk (Premio Nobel per la letteratura 2006) e Irina Scherbakova (Premio Nobel 2022 con Memorial). A parte Parigi (dove c’è chi lo vuole inserito ad honorem negli alti scranni dell’Académie française) e qualcosa a Berlino, se i governi europei devono ancora farsi sentire sul romanziere in carcere da venti giorni in Algeria dove rischia di finire la sua vita, le ong dei diritti umani non hanno proferito parola.
Un algerino. Uno scrittore. Un prigioniero politico. Una dittatura. I soliti ingredienti del martire ideale da difendere. Invece, no. Durissimo il giornalista Clément Weill-Raynal: “Ancora nessuna reazione da parte degli impostori di Amnesty International che, in questa vicenda, sostengono chiaramente i dittatori algerini”. Stesso silenzio da parte di Human Rights Watch. Una dirigente di spicco di Amnesty, Karima Bennoune, autrice di un libro dal titolo Your fatwa does not apply here, ha scritto: “Durante i miei anni ad Amnesty International condivisi le sue preoccupazioni sulla tortura in Algeria, ma non potevo comprendere la risposta dell’organizzazione alla violenza dei gruppi fondamentalisti”. Nel caso di Sansal non c’è neanche la preoccupazione per l’arresto da parte del regime algerino.
Lo scorso aprile, il terrorista palestinese Walid Daqqah, che ha rapito e assassinato il soldato Moshe Tamam, è morto in carcere in Israele per una malattia. Tamam tornava a casa in licenza il 6 agosto 1984. Incontrò la sua ragazza e la accompagnò a casa a Tiberiade. Quella sera, in autobus verso Tel Aviv, dopo essere sceso alla stazione di Beit Lid, Tamam scomparve. Quattro giorni dopo, il suo corpo fu trovato in Cisgiordania con una ferita da arma da fuoco al petto. Secondo la sua condanna, Daqqah ha ordinato il rapimento di Tamam e il suo omicidio. In prigione, il terrorista si è messo a scrivere romanzi. Quando è morto, Amnesty International ha pianto la morte del terrorista come “scrittore palestinese”. “Gli scritti di Walid Daqqah dietro le sbarre sono una testimonianza di uno spirito mai spezzato da decenni di incarcerazione e oppressione”, ha affermato la ong, che non ha menzionato la sua affiliazione al Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, organizzazione terroristica sulla lista nera di tutti i paesi occidentali.
Nel caso di Daqqah, Amnesty ha fatto non soltanto campagna per la sua liberazione, ma occultando un po’ anche la sua biografia. Nel caso di Sansal, neanche un post sui social. E pensare che Amnesty International nacque difendendo la moglie dello scrittore sovietico Boris Pasternak, Olga Ivinskaya, perseguitata per il rifiuto del marito di inchinarsi al Cremlino.