Una mostra a cavallo tra due ministri, Giuli e Sangiuliano. Una festa della rivoluzione alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea
Non è stata veloce come l’automobile in corsa, questa mostra sul futurismo alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea (Gnam), ma chissà se è più bella della Nike di Samotracia. I quadri, i manoscritti, le installazioni, le automobili, le motociclette, gli idrovolanti sono su per giù cinquecento. Le sale, ventisei. I metri quadrati, quasi quattromila (all’incirca metà galleria). Numeri sostenuti. Grandeur futuristica. Curatela di Gabriele Simongini che, ieri sera, esulta: “Ce l’abbiamo fatta”. Il ministro della Cultura Alessandro Giuli definisce la mostra “una festa della rivoluzione” (citando a sua volta Claudia Salaris, storica e collezionista già coinvolta nel comitato scientifico e poi sostituita da Federico Palmaroli in arte Osho che questa sera indossa un panciotto coi disegni di Fortunato Depero).
Ed è dunque “Il tempo del futurismo”, l’esposizione che, dopo lunghi travagli, si snoda da oggi sino al 28 febbraio nelle stanze in viale Belle Arti. Una mostra agognata dal fu ministro Gennaro Sangiuliano, concepita al tempo della direzione di Cristiana Collu, e venuta ora alla luce sotto l’egida della direttrice Cristina Mazzantini, la brillante architetta allieva di Paolo Portoghesi. Una mostra a cavallo tra Giuli e Genny – due ministri ma una forma unica nella continuità dello spazio – alla quale accorrono gli amici di Marinetti di lunedì sera. E tuttavia è stata una lunga giornata. Iniziata ieri, a mezzogiorno, con la conferenza stampa e col ministro, sardonico, che evocava appunto i travagli targati Report: “Questa volta non si può dire che non ci hanno visto arrivare…”.
Certo che no. E a proposito di Report, sempre in mattinata, si adocchiava il gallerista (e prestatore d’opere) Fabrizio Russo, al centro di un’inchiesta di Sigfrido Ranucci, che – prima d’accomodarsi accanto a Francesca Barbi Marinetti, nipote Tommaso – sussurrava a un amico in parte: “È stata la nostra rivincita”, e poi, con accenni futuristi, paro-liberisti: “È un diluvio di capolavori”. Un diluvio di opere, in effetti, e un diluvio di furor. Al punto che Federico Mollicone, presidente della Commissione Cultura alla Camera, auspicava con tono stentoreo una mostra permanente sul futurismo: “perché il futurismo è arte totale”.
Ma intanto, dopo il diluvio mattutino che annovera, per dirla con Boccioni, qualche rissa in galleria (Osho s’incontra e scontra prima con l’ex curatore defenestrato in corsa Giancarlo Carpi e poi con la troupe di Corrado Formigli), ecco che viene sera. Ed ecco che l’aria vespertina placa le risse ma non le malizie.
Maurizio Gasparri, avvicinato dal Foglio all’inaugurazione delle diciotto, scandisce: “San-giu-lia-no. Il merito è di Sangiuliano, e poi, dopo, di Alessandro Giuli, che ha proseguito il lavoro”. Tra le penne spiccano Giordano Bruno Guerri, che ha alte aspettative, l’editorialista de La Stampa Flavia Perina, e poi Marcello Veneziani che per il catalogo della mostra ha scritto un testo sull’eventualità di una filosofia futurista. Veneziani – notoriamente lontano dal glam romano – ci dice d’un convegno clandestino che si terrà sempre qui, alla Gnam, nelle prossime ore. E poi, sollecitato, ammette: “L’altra mostra, quella di Tolkien, non aveva senso, io non l’ho vista”. “Era una mostra fantastica – dice – in tutti sensi”. O come dire, una mostra campata per aria. Una mostra sul futurismo, invece, non si vedeva da tempo in Italia, forse dal 1986 a Venezia.
Intanto, a metà serata, dopo che la transumanza per l’ingresso è compiuta, torna Alessandro Giuli. Stavolta in abito vinaccia. Lui sì, molto glam. Perché comunque non mancano, in questa fosforescenza, i soliti cenni di romanitas. Dalla suora sorrentiniana in bluette al dandy Peter Glidewell – passatista ma non incongruo – che va alla consueta ricerca di un bicchiere.