Julani, il leader degli islamisti che hanno conquistato Aleppo e che dice: “Fidatevi di noi”

Gli intrecci con Stato islamico e al Qaida, poi la guerra al Califfato e quella ovviamente al regime di Assad. Come funziona lo stato nello stato messo in piedi a Idlib

Nella moschea di al Rawdah, ad Aleppo, Ahmed al Dalati è in piedi davanti a una platea che lo ascolta in silenzio. E’ uno dei leader di Ahrar al Sham, una delle milizie che in appena cinque giorni hanno liberato la città dal regime. Dalati si rivolge ai presenti: “Aleppo è la perla del Levante, e siete voi la conquista, non le pietre o le strade, ma il suo popolo. Le istruzioni sono chiare. E’ vietato nuocere a chiunque, qualsiasi setta, non solo musulmani, ma anche cristiani e armeni. Loro sono il popolo siriano e il loro sangue è inviolabile così come le loro proprietà. Non siamo mercenari o criminali, non siamo assetati di sangue. Vogliamo una Siria libera, per tutti i siriani”.

Poche ore prima, con un comunicato lanciato dalla operation room di Fatah Mubin da cui ha guidato le operazioni militari sul campo, il comandante di Hayat Tahrir al Sham (Hts), Abu Muhammad al Julani, si rivolge ai suoi uomini: “L’islam ci ha insegnato gentilezza e pietà. Siate un modello di tolleranza e perdono. Vi riterrò responsabili nel rappresentare la rivoluzione siriana. Costruite ciò che il popolo siriano ha atteso da anni”.

Questi appelli alla moderazione, rivolti per unire tutte le anime della rivoluzione sotto un unico fronte, vanno presi con estrema cautela. Hts è un gruppo terroristico spietato, accusato di reprimere l’opposizione con la violenza. Secondo l’ultimo report dell’ong Syrian Network for Human Rights, nelle carceri di Idlib – dove ha sede il governo della Salvezza di Hts – oltre 500 persone sono state uccise e più di 2 mila sono detenute in modo arbitrario e sottoposte a tortura. Gli Stati Uniti hanno designato e sanzionato Hts in quanto gruppo terroristico salafita sotto il comando di Julani, architetto della liberazione del nord-ovest.

La sua storia lascia pochi dubbi. Nato in Siria, nel 2003 si è unito alla guerra per la liberazione dell’Iraq dagli americani. Fu Abu Bakr al Baghdadi a inviarlo in Siria con l’incarico di fondare il ramo siriano dello Stato islamico in Iraq. Conquistò Idlib, nel nord-ovest del paese, alla guida di Jabhat al Nusra. Nel 2013 Baghdadi propose che al Nusra si sciogliesse per essere inglobato nello Stato islamico, ma Julani rifiutò perché non voleva finire sotto il controllo e le dipendenze di nessuno. Riteneva che la creazione del Califfato, compresi i suoi attacchi al di fuori della Siria, in Europa e in America, fossero poco funzionali al raggiungimento del vero obiettivo: unire la miriade di milizie contro il regime di Assad. Nel 2013 e nel 2017 si allontanò rispettivamente dallo Stato islamico e da al Qaida con decisioni che gli valsero non poche resistenze interne a Hts. Da allora Julani veste magliette polo con marchi occidentali e ha sostituito la shahadah – la professione di fede islamica – con i colori della rivoluzione siriana, verde bianca e nera sul vessillo di Hts. Ha anche dichiarato guerra allo Stato islamico, combattendolo fra la zona desertica di Deir ez Zour, nell’est della Siria, e nel nord-ovest con decine di operazioni militari e arresti ai danni dei combattenti del Califfato e di Hurras al Din, di ispirazione qaidista. “Non solo Hts non rappresenta più una minaccia per il terrorismo internazionale rispetto ai suoi predecessori, ma ha anche schiacciato quasi nella sua interezza la minaccia globale posta dai suoi rivali più estremi”, ha scritto Charles Lister, del Middle East Institute.

Il cervello del processo di “ripulitura” del gruppo dalle frange più estreme è stato Abu Maria al Qahtani, l’ideologo di Hts. Qahtani convinse Julani ad abbandonare il jihadismo dell’Isis e di al Qaida e a seguire una terza via, fatta di alleanze politiche e militari all’insegna del pragmatismo, per cercare legittimazione internazionale. Originario di Mosul, Qahtani era soprannominato “al Khal”, che significa “lo zio”, un titolo che indica una delle massime forme di rispetto da parte dei suoi seguaci. Nel 2020, Wassim Nasr, giornalista di France 24 ed esperto di jihadismo, riuscì a viaggiare a Idlib e a intervistare sia Julani sia Qahtani. Quando lo incontrò, nell’unica intervista che abbia mai rilasciato, quest’ultimo spiegò la sua strategia: “Stiamo impedendo che i nostri giovani si uniscano allo Stato islamico e ad al Qaida. Non lo facciamo con la forza, ma convincendoli e mostrandogli che è un sistema non percorribile né efficace”. Qahtani propose con successo a Julani la possibilità di trattare con i turchi sulla base di logiche pragmatiche – per esempio quando Hts accettò di ritirarsi da Afrin nel 2022 lasciandola all’Esercito nazionale siriano, composto da milizie filo turche. Due eventi tragici come la pandemia e il terremoto del 2023 hanno consentito a Julani di attirare sul suo emirato una certa curiosità anche al di fuori dai confini della Siria. Per contenere i contagi, il governo di salvezza adottò misure sanitarie più avanzate persino di quelle messe in campo dal regime nel resto del paese. Poi, con il sisma, le immagini di Julani in visita tra le macerie dei villaggi distrutti e le sue promesse di ricostruzione contribuirono a fare proseliti.

Il viaggio di Wassim Nasr a Idlib riporta una descrizione eccezionale, perché rara e fatta de visu, dal cuore dell’emirato messo in piedi da Julani. Il giornalista francese ha visto negozi e zone dello shopping affollate, edifici moderni in grado di resistere al sisma, donne libere di passeggiare e di scegliere se indossare il niqab o l’hijab, di studiare e frequentare l’università. Idlib ospita festival della letteratura, una book fair annuale, convegni specializzati in settori della tecnologia. L’economia si basa su un sistema di tassazione strutturato ed è stata messo in piedi una specie di welfare per la popolazione. Grandi opere e la costruzione di infrastrutture, fabbriche e strade hanno fatto di Idlib una realtà unica nella regione. Eppure, il sistema di potere resta corrotto, basato sulla violenza e i commerci illeciti. Buona parte delle entrate arriva dal traffico di uomini, idrocarburi e di aiuti umanitari spacciati attraverso la frontiera turca. L’idea di stato formulata da Julani resta all’insegna del conservatorismo, dove uomini e donne hanno zone diverse nei ristoranti, con una giustizia amministrata in modo iniquo e in cui lo strumento della tortura è frequente.

All’inizio di quest’anno a Idlib erano scoppiate delle proteste molto violente contro Julani, con slogan simili a quelli della primavera araba del 2011. Sotto accusa era finito il sistema di repressione dei dissidenti, le tasse elevate e le difficoltà economiche aggravate dalla svalutazione della lira turca, che non a caso è quella usata a Idlib. Lo stesso Julani era stato accusato da una frangia di oppositori di essere in combutta con i servizi segreti stranieri, permettendo ai loro agenti di entrare nelle sue carceri per interrogare persone sospette. Nel novembre del 2022, anche l’Italia riuscì a negoziare con Hts, seppure indirettamente tramite i turchi, per ottenere il rilascio del narcotrafficante camorrista Bruno Carbone, che era entrato in Siria ma era stato arrestato dai terroristi. Fu il primo caso di estradizione di un detenuto da un gruppo jihadista a un paese occidentale. Anche in quel caso, il messaggio era di tranquillizzare la comunità internazionale, dimostrando buona volontà e collaborazione.

Ma dietro le quinte, la brutalità e la spietatezza di Julani avevano portato all’arresto di centinaia di persone accusate di essere spie di americani o russi. A farne le spese, nel 2021, fu lo stesso Qahtani, arrestato con l’accusa di spionaggio. Pare che Qahtani fosse entrato in contatto con la coalizione internazionale che combatte lo Stato islamico in Siria e Iraq, forse per fornire informazioni sulle postazioni del Califfato da attaccare. Dopo sette mesi, l’ideologo di Hts fu rilasciato e a marzo di quest’anno le accuse a suo carico rimosse. Appena poche settimane, ad aprile di quest’anno, e un uomo si presentò da Qahtani per portagli in dono una spada – non si sa se inviata da Julani o dallo Stato islamico, azionò una bomba e uccise il numero due di Hts.

Nonostante i malumori interni, il gruppo è riuscito a pianificare sottotraccia quello che tutt’oggi è uno degli eventi epocali della guerra civile siriana. L’avanzata verso Aleppo e poi quella a sud, in direzione di Hama, è stata studiata nei minimi dettagli, come è chiaro dall’efficacia delle operazioni militari. Male organizzate e male comandate, le linee di difesa dell’esercito siriano sono state perforate facilmente dalle forze speciali di Hts. I video mostrano tecniche di combattimento perfezionate forse anche grazie all’accademia militare creata da Julani. L’industria militare voluta da Julani, tutta rigorosamente “made in Idlib”, ha sviluppato missili a guida remota e droni efficienti, oltre ad avere formato un team in grado di pilotarli. Nel corso dell’attacco di Aleppo, pare che le forze speciali siano riuscite a entrare con maggiore velocità nella città anche grazie a un sistema di tunnel sotterranei scavati in gran segreto molto tempo prima. Secondo i media locali, sarebbe così che Kioumars Pourhashemi, generale iraniano delle brigate al Quds di stanza ad Aleppo, sarebbe stato ucciso, con un team di “incursori” e un’operazione chirurgica.

Un’altra dimostrazione di forza di uno stato nello stato costruito sotto traccia mentre Bashar el Assad invece si concentrava nella cieca costruzione del suo personalissimo narcostato per arricchire il proprio clan. Mentre il dittatore di Damasco si illudeva di essere più forte e al sicuro di quanto non fosse, lavorando per la propria riabilitazione nel consesso internazionale, non si accorgeva delle crepe nel suo stesso apparato di sicurezza. E della forza raggiunta dall’emirato del nord-ovest.

  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare “Morosini”. Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.

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