“Il lassismo dei pm denunciato da Nordio è una fake news da studiare”

Il ministro della Giustizia dedica poche parole all’impianto di riforme che porterà a una radicale riscrittura dell’equilibrio fra i tre poteri dello stato, ma i dubbi di fondo persistono. E “nonostante tutte le rassicurazioni, si apre di fatto una autostrada al passo successivo della “responsabilizzazione” del Pm rispetto all’esecutivo”

L’intervista di ieri al direttore Cerasa merita attenzione per ciò che il ministro Nordio dice e per ciò che non dice. “La separazione delle carriere è un punto centrale del programma del governo… di fatto in buona parte già esiste con l’ordinamento della Cartabia, è accompagnata da due riforme che sono ancora più importanti: il sorteggio di parte del Csm e l’istituzione dell’Alta Corte disciplinare”. Alle “due riforme più importanti” sono dedicate poche righe. Il Ddl costituzionale Meloni/Nordio è una radicale riscrittura del sistema di governo della magistratura e dell’equilibrio tra i poteri dello stato, legislativo, esecutivo e giudiziario, previsto dalla Costituzione.

La ragione della reticenza si trova nelle parole del ministro, il quale auspica che in Parlamento non si realizzi la maggioranza dei due terzi e quindi si vada al referendum perché “è necessario che si pronunci il popolo italiano”. Ma su cosa? Lo stesso Nordio lo aveva già detto in altra intervista “la vittoria referendum sulle carriere dei magistrati sarà portata di mano se solo la comunicazione politica verrà affidata ad una semplice domanda: siete contenti, cari cittadini, di com’è oggi la magistratura? Se non lo siete votate sì al referendum confermativo” (Il Dubbio 16 novembre). Più che un referendum, un plebiscito e su un quesito tendenzioso. E se provassimo ad informare, e si può fare senza troppi tecnicismi, su che cosa il popolo dovrebbe in ipotesi pronunziarsi? L“Alta Corte Disciplinare” non è più prevista, come era stato proposto, per tutte le magistrature, ordinaria, amministrativa e contabile, ma solo per la magistratura ordinaria, con una alquanto arzigogolata composizione: dei quindici componenti, tre nominati dal Presidente della Repubblica, tre estratti a sorte da un elenco formato dal Parlamento e sei giudici e tre Pm estratti a sorte tra i magistrati.

Il messaggio è quello di contrastare il lassismo della gestione disciplinare del Csm, peraltro smentito dai dati (Relazione del Procuratore Generale della Cassazione). Nel 2023 vi sono state 15 condanne, di cui 2 alla rimozione. Si aggiungono 5 decisioni di non doversi procedere per dimissioni o pensionamento anticipato, spesso motivati dalla volontà di sottrarsi al procedimento disciplinare. Le assoluzioni sono state 20 per insussistenza dell’illecito disciplinare o per scarsa rilevanza del fatto. Una percentuale “fisiologica” di assoluzioni (a meno che per il giudice disciplinare debba valere il principio di accogliere tutte le richieste dell’accusa); condanne severe, se in sette casi complessivi gli incolpati sono usciti dalla magistratura.



Vi saranno due Csm, uno per i giudici e uno per i Pm. Ma parte notevole dell’attività del Csm riguarda tutta magistratura. Come si potrà valutare il Progetto organizzativo di una Procura senza coordinarlo con quello corrispondente del Tribunale? E che sarà della Scuola Superiore della Magistratura ove oggi ai corsi di formazione e di aggiornamento Pm e giudici siedono spesso sui banchi fianco a fianco? Per ciascuno dei Csm il criterio di nomina è quello del sorteggio. I componenti laici sono estratti a sorte “da un elenco di professori ordinari di università in materie giuridiche e di avvocati con almeno quindici anni di esercizio, che il Parlamento in seduta comune, entro sei mesi dall’insediamento compila mediante elezione”; dunque un metodo di sorteggio cosiddetto “temperato”.

Per i componenti togati dei due Csm la estrazione a sorte è invece prevista “tra i magistrati giudicanti e i magistrati requirenti nel numero e secondo le procedure previste dalla legge”; dunque in questo caso sorteggio” secco”. Rimane la proporzione 2/3 togati e 1/3 laici, ma si realizza una ingiustificata discriminazione nella legittimazione: “forte” per i laici e “debole” per i togati. Per i magistrati, si dice, “uno vale uno”. Ma il ruolo di gestire il corpo giudiziario e la sua organizzazione è cosa diversa dal giudicare e dall’investigare: la realtà ci mostra capi di ufficio ottimi giuristi e ottimi organizzatori, ma anche il caso di ottimi giuristi e disastrosi organizzatori.

Il ministro rassicura sulla indipendenza del Pm dall’esecutivo, ma sottolinea che il pubblico ministero italiano ha un forte potere senza alcuna responsabilità. Nonostante tutte le rassicurazioni, si apre di fatto una autostrada al passo successivo della “responsabilizzazione” del Pm rispetto all’esecutivo: quella “direzione” del ministro che, ancor prima della Costituzione, l’Italia della ricostituita democrazia aveva abolito con il Regio Decreto Legislativo 31 maggio 1945 n. 51.


Edmondo Bruti Liberati, già procuratore capo di Milano

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