Il Bosco Verticale festeggia 10 anni: tutta la storia in un libro

Simbolo della Milano smart e sua autobiografia vegetale, il grattacielo “arbustato” ci fa riflettere su clima, estetica e governance autocratica. Tra innovazione, critiche e un brand che divide i milanesi

E’diventato il più imitato, fotografato, anche sfottuto, emblema della Milano arrembante dell’ultimo decennio, e festeggia proprio ora i dieci anni. Con un raffinato librone in inglese curato dallo studio Boeri Architetti ed edito da Rizzoli, presentato ieri a Milano al teatro Franco Parenti, il Bosco verticale adesso fa il punto sulla sua esistenza. Forse il momento non è dei migliori per le celebrazioni, mentre Milano vive un suo momento di stanca, con le gang e gli infiniti dibattiti se sia troppo cara o insicura. Ma in fondo Milano, capitale pubblicitaria, sa farsi talmente bene la pubblicità da essere diventata un brand così ganzo e deluxe che i milanesi non se lo possono più permettere.

Sono fasi: e il momento come si dice è propizio anche perché non cade soltanto il decennale dell’edificio arbustato, e dei famosi grattacieli, le inurbazioni di Porta Nuova; ma anche, tra poco, dell’evento che riportò in auge la Capitale degli Eventi medesimi, quell’Expo fatale del 2015 che contro ogni speranza funzionò e anche bene, collocando Milano nel novero delle “smart cities”, anche se allora non si diceva così. Era un altro mondo, nel 2015 Trump non aveva ancora iniziato la sua carriera di presidente, Chiara Ferragni viveva a Los Angeles prima di incontrare il suo trapper di Rozzano e trovare il suo Eldorado nell’erigenda City Life, e a palazzo Chigi c’era ancora Matteo Renzi considerato un fresco leader della sinistra e non un vituperato lobbista panarabo.

Il Bosco è autobiografia vegetale di Milano. Pensato nel 2007 e realizzato nonostante la crisi finanziaria tra il 2009 e il 2014 (con un periodo di interruzione del cantiere a causa del fallimento dell’impresa di costruzione), è gestito da Coima, l’equivalente odierna della Società Generale Immobiliare del boom del dopoguerra che fece la Velasca, con il super cumenda Manfredi Catella, cumenda 2.0. come sono in realtà due anche i Boschi verticali. Sono infatti due torri di 110 e 76 metri di altezza che ospitano 800 alberi, 4.500 arbusti e 20.000 piante di cento specie vegetali diverse, distribuite in base all’esposizione al sole della facciata, equivalenti a circa cinque ettari di parco in pianura, ma concentrati su un’area di 1.000 metri quadrati (nel libro ci sono anche erbari e dotte disquisizioni botaniche). Ogni appartamento ospita almeno 2 alberi, 8 arbusti e 40 piante, coi relativi benefici fisici e psicologici. L’effetto ombreggiante riduce i livelli di umidità e abbassa le temperature interne degli appartamenti di 2-3 °C. (ma d’estate, immaginiamo la selva di zanzare, di quella speciale fattispecie di zanzare milanesi, che si sono rafforzate negli anni come pure l’ego, milanese, rendendole dei piccoli missili cruise).



Il grattacielone poi è stato studiato nei minimi termini, vidimato persino dalla Agenzia spaziale europea (Esa), come se fosse un’astronave. E l’Esa ha confermato: abbassa la temperatura pure della città (ma il palazzo è stato testato perfino nella galleria del vento, per capire se tutti quegli alberi siano aerodinamici, o meglio, non volino via co i frequenti nubifragi. Anche con raffiche a 100 km orari). Quando il vento si placa poi entrano in azione i Flying Gardeners, giardinieri acrobatici che salgono sulle due torri con corde, caschi e imbracature di sicurezza per prendersi cura degli alberi due volte l’anno.



Ma se il gioco si fa duro però intervengono le coccinelle. “Nel 2014, circa 1.200 coccinelle sono state posizionate sulle terrazze per combattere gli afidi che banchettavano allegramente sulle foglie”, scrive Beatriz Colomina, docente di Storia dell’architettura all’Università di Princeton, nel suo contributo. “Ma le coccinelle si sono riprodotte molto più velocemente del previsto e per alcune settimane l’edificio è stato invaso da quegli ospiti”. E nonostante qui siano state girate alcune serie tv, vorremmo vedere una pellicola su famiglie in crisi nel Bosco tra coccinelle e afidi, e magari il ministro Lollobrigida, che ha piazzato un alveare sul tetto dell’Agricoltura a Roma, potrebbe farsi un pied à terre qui.



L’ispirazione per la foresta che si fa grattacielo, scrive Boeri che ama il pop, gli è venuta da una canzone di Celentano: non “Il ragazzo della via Gluck”, come ha cantato nello sgomento generale il segretario dei Verdi italiani Angelo Bonelli qualche giorno fa alla Camera, per contestare il decreto “Salvamilano”. No, qui la canzone è “Un albero di trenta piani”, non tra le più celebri diciamo. Un Celentano diverso. Ma il nostro Manuel Orazi sottolinea nel suo scritto all’interno del volume come pure il Bosco sia “un progetto diverso da qualsiasi altro perché è ripetibile, anche se soggetto a molte variazioni sul tema, e quindi seriale, una caratteristica che pochissimi altri architetti sono riusciti a implementare, forse solo Santiago Calatrava, ma coi ponti” (non ditelo ai veneziani, tra l’altro). Il Bosco insomma è ormai “landmark”, simbolo onnipresente, dalle Alpi alle Piramidi, come la lampada Tolomeo o Tizio, o più recentemente Poldina, e ci si chiede se sarà considerato design o architettura. Di sicuro in tutto il mondo di “boschi” ne fanno ormai di piccoli, grandi, medi, sdraiati o diritti: X, L, XL, come direbbe il buon Rem Koolhaas. E viene anche molto imitato, sempre un segno di successo (pure a Roma c’è un tragico mini-bosco, un cespuglietto diciamo verticale, nel quartiere Prati, sede di un’università). Ma il Bosco è “Open source”, dunque ognuno se lo può fare come vuole.



Infine, l’esperienza in politica di Boeri l’ha convinto saggiamente della necessità che il condominio sia un’autocrazia: nessun inquilino può modificare a suo piacimento le piante, né innaffiarle quando gli pare: è tutto infatti centralizzato e deciso dall’alto (chiunque abbia assistito una volta a una assemblea di condominio, del resto, ha perso immediatamente ogni speranza nella democrazia). Con la crisi odierna dei sistemi liberali, anche in questo il Bosco è stato precursore.

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  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).

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