Quale pace dopo la guerra

Il conflitto in Ucraina ha aperto lo scontro tra imperi autoritari e democrazie. Il suo esito avrà un ruolo decisivo per il destino della libertà e dell’Europa

La guerra in Ucraina ha stravolto la storia del Ventunesimo secolo diventandone la matrice, così come i conflitti della Rivoluzione francese e dell’Impero sono stati la matrice del Diciannovesimo secolo e la Grande guerra la matrice del Ventesimo”, scrive sul Figaro Nicolas Baverez. Ha chiuso il ciclo della globalizzazione. E ha aperto il grande scontro tra gli imperi autoritari e le democrazie, sancendo l’alleanza tra Cina e Russia, e avvicinando Mosca a Teheran e Pyongyang. Ha gettato una luce cruda sulla natura delle tirannie del Ventunesimo secolo, sulle loro ambizioni di potere e sul loro ricorso illimitato alla violenza. Ha allineato il sud alle autocrazie, come abbiamo visto al vertice del G20 di Rio. Dall’altro lato, ha evidenziato la vulnerabilità e la disunione delle democrazie. Non c’è dubbio, quindi, che l’esito della guerra in Ucraina avrà un ruolo decisivo per il destino della libertà e dell’Europa.



Dopo 1.000 giorni di combattimenti, questa terribile guerra di logoramento, che si stima abbia provocato almeno 700.000 morti e feriti da parte russa e più di 500.000 da parte ucraina, ha raggiunto un importante punto di svolta. Senza cedere, l’Ucraina si trova comunque ad affrontare una situazione molto difficile. In termini militari, il suo esercito si sta ritirando dal Donbass, vittima della mancanza di uomini e di equipaggiamenti di fronte al rullo compressore russo, che avanza a costo di perdite terribili. Lo sfondamento verso Kursk non ha permesso di ridurre la pressione e le forze di Kyiv sono molto esposte dinanzi ai 50.000 uomini, tra cui 12.000 nordcoreani, ammassati da Mosca per riprendere la sacca. Sul piano politico, la popolazione ucraina, senza arrendersi, è stremata dai massicci bombardamenti sulle città e sulle infrastrutture essenziali, che hanno distrutto il 65 per cento della capacità di produzione energetica. Sul piano strategico, il sostegno delle democrazie occidentali è stato indebolito dall’elezione di Donald Trump, che si è impegnato a porre fine al conflitto in 24 ore – Kyiv dipende interamente dal sostegno militare e finanziario di Washington –, così come dall’adesione della Germania a una politica di vile appeasement su istigazione di Olaf Scholz.



La Russia di Vladimir Putin, invece, si sente in una posizione di forza, sostenuta dall’alleanza con la Cina, supportata dal flusso di uomini, armi e munizioni dalla Corea del Nord e dall’Iran, e legittimata dal sostegno del sud, in particolare attraverso i Brics. In apparenza, è un momento di escalation. Da parte russa, con il dispiegamento di un contingente nordcoreano che potrebbe raggiungere i 100.000 uomini, il bombardamento sistematico delle città e l’intensificazione delle operazioni di destabilizzazione e disinformazione in Europa (Moldavia) e in Africa. Una nuova soglia è stata superata con l’attacco a Dnipro attraverso un missile balistico a raggio intermedio progettato per trasportare testate nucleari, materializzando la minaccia di ricorrere alle armi atomiche di fronte a un “conflitto globale”. Da parte ucraina, con l’estensione del teatro di guerra al territorio russo, l’autorizzazione a colpire obiettivi militari in Russia con missili occidentali a medio raggio e il dispiegamento di mine antiuomo americane per fermare l’avanzata russa nel Donbass.



Dietro l’escalation militare, tuttavia, si fa largo il momento della diplomazia, menzionato ora sia da Vladimir Putin che da Volodymyr Zelensky. Il conflitto ha raggiunto un’impasse, senza che nessuna delle due parti riesca a fare un passo avanti decisivo. La Russia è in vantaggio per la sua profondità e per una popolazione di 145 milioni di abitanti rispetto ai 37 milioni dell’Ucraina, ma il tentativo di Vladimir Putin di annientare lo stato e il popolo ucraino è fallito. Entrambi i paesi sono esausti. L’Ucraina è demograficamente ed economicamente prosciugata, con danni stimati a 155 miliardi di dollari. La Russia ha dimostrato l’eccezionale resilienza del suo popolo e sta beneficiando dell’euforia di un’economia di guerra potenziata da spese militari che ammontano a più del 6 per cento del pil e rappresentano il 40 per cento del bilancio dello stato federale. Ma sta rovinando il suo futuro con l’esilio di oltre un milione di giovani qualificati, l’impoverimento della popolazione a causa dell’inflazione, il blocco degli investimenti e dell’innovazione, la diffusione della corruzione e il rafforzamento della repressione.



Il periodo che precede l’apertura dei negoziati sarà il più pericoloso di tutti, perché favorirà l’estremizzazione della violenza per affrontarli dalla migliore posizione possibile. Occorrerà sangue freddo e riflettere sul quadro e sul contenuto dei negoziati, anche nell’ipotesi più sfavorevole in cui si svolgeranno esclusivamente tra Stati Uniti e Russia. L’obiettivo di Vladimir Putin sarà quello di mantenere il 20 per cento del territorio ucraino che ha conquistato, impedendo all’Ucraina di entrare nella Nato e limitando il più possibile le garanzie di sicurezza fornite a Kyiv e all’Europa. Donald Trump cercherà di limitare il coinvolgimento degli Stati Uniti e di far finanziare la ricostruzione dell’Ucraina dall’Unione, affidandola allo stesso tempo a imprese americane. La posizione degli europei è in un limbo. Francia, Germania, Regno Unito, Italia e Polonia dovrebbero quindi incontrarsi rapidamente per discutere e definire una posizione sulle questioni critiche che verranno messe sul tavolo. Semplice cessate il fuoco o vera pace? Quali concessioni territoriali dovrebbe fare l’Ucraina in cambio di garanzie sulla sua sicurezza (adesione alla Nato, presenza di soldati americani e/o europei)? Come dovrebbe essere organizzata e finanziata la ricostruzione dell’Ucraina, il cui costo è stimato a 500 miliardi di dollari? Quale architettura di sicurezza dovrebbe adottare l’Europa per affrontare la Russia, la cui minaccia esistenziale non scomparirà con la cessazione delle ostilità e alla luce della svolta isolazionista e protezionista degli Stati Uniti, che va oltre la personalità di Donald Trump ed è destinata a durare?



Il rischio principale rimane quello di un vile sollievo da parte degli europei, di un loro sbandamento e di una loro rinuncia al riarmo iniziale – lo sforzo di difesa è aumentato del 31 per cento rispetto al 2021, raggiungendo i 326 miliardi di euro, pari all’1,9 per cento del pil. Nell’era degli imperi, in un mondo violento dove la forza prevale sul diritto, la dipendenza in termini di sicurezza equivale a un suicidio. Qualunque sia l’esito della guerra in Ucraina, gli europei dovranno tenere presente che la condizione per la pace con la Russia rimarrà la creazione di un deterrente militare efficace contro un nuovo attacco, che non potrà mai più contare solo sugli Stati Uniti. In un momento in cui la tentazione di distribuire i dividendi della fine della guerra in Ucraina sarà molto forte di fronte alle richieste di protezione dei cittadini e al sovraindebitamento degli stati, il riarmo coordinato dell’Europa sarà ancora più imperativo. Costituirà un test decisivo della volontà dei cittadini delle democrazie di difendere la libertà nel Ventunesimo secolo. (Traduzione di Mauro Zanon)

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