Così Mosca ha trasformato il sistema educativo ucraino. Il film War on Education

Il regista Stefano di Pietro cerca di raccontare nel suo documentario le profonde ferite della guerra, non solo sui corpi, ma sulle menti e sulle coscienze trasformate da un’educazione distorta. E ci invita a immaginare, con spirito attivo, un mondo libero che costruisce e non distrugge

Cosa ci si può aspettare da un film intitolato War on Education, Guerra all’educazione?. Guardando il carro armato sulla locandina, si potrebbe immaginare alla distruzione, all’orrore, alle devastazioni della guerra: non è così. War on Education è un documentario sorprendente: dopo tutto l’orrore scopriamo un’altra prospettiva del conflitto che parla di pace, futuro, speranza e bellezza. Un film che cerca di ricucire il mondo attraverso immagini piene di rispetto e delicatezza verso tutto ciò che è vita, pieno di sorrisi, bambini felici, accompagnate da un velo di tristezza. Nonostante quel velo sembri talvolta coprire ogni cosa, è la speranza a emergere con forza. Umberto Eco, nel suo saggio Opera aperta, sostiene che un artista debba creare un’opera in cui il pubblico possa riflettersi, trovando significati personali e molteplici interpretazioni. Il regista Stefano Di Pietro incarna perfettamente questo principio nel suo documentario.

War on Education cerca di raccontare con forza le profonde ferite che la guerra infligge, non solo sui corpi, ma sulle menti e sulle coscienze. Il documentario ci obbliga a guardare da vicino le conseguenze di un’educazione distorta, che trasforma i bambini in adulti, pedine di regimi totalitari, vittime di un sistema che, invece di costruire un futuro, lo sacrifica in nome della guerra. War on Education, un film sulla guerra in Ucraina, è un film in cui la guerra che noi siamo abituati a immaginare non c’è. O meglio, si vedono chiaramente solo le sue conseguenze. Non vediamo le battaglie e non sentiamo gli spari. Il silenzio spesso grida molto più forte: ci costringe ad aprire gli occhi sulle cose più importanti, quelle che spesso non si vedono o si nascondono dietro le parole. E’ infatti di poche parole, ma importanti. Parla attraverso immagini che cercano di lasciare una traccia indelebile: reagire immediatamente per impedire che il futuro venga sottratto, non solo ai bambini ucraini, ma all’umanità intera.

Non è un film che spaventa, che costringe a non guardare. È un film di responsabilità che mostra adulti responsabili e bambini, cresciuti in fretta, che vogliono, nonostante tutto, rimanere bambini. Mostra adulti che hanno scelto una missione speciale: stare accanto ai bambini, guidarli verso il futuro, verso la felicità, verso la vita. E questi adulti, con grande dignità, sono pronti a riparare, a rammendare il mondo intorno ai loro bambini ogni istante, per fare tutto ciò che è necessario affinché il cielo, soprattutto sopra le teste dei loro ragazzi, rimanga sempre azzurro e non coperto dal grigio piombo delle bombe e delle macerie.

Anche se questo azzurro, talvolta, deve spostarsi nei rifugi antiaerei. Il documentario evidenzia con forza che la guerra non inizia con il primo sparo. La guerra nasce molto prima, anni prima. Nasce nel pensiero: è lì che prende forma, prima ancora che si manifesti. La guerra inizia con una guerra all’educazione, all’istruzione, alla cultura. È un processo lento e calcolato che lavora per preparare il terreno alla guerra. Manipola la mente, poi costruisce un’idea della guerra che viene trasmessa attraverso l’educazione e l’informazione, giorno dopo giorno, per anni. Questa educazione non forma individui per il futuro, per la pace, per la vita o per la creazione. Forma piccoli soldati, bambini cresciuti per essere pronti a morire. Una patria che li cresce non per vivere, ma per sacrificarsi. Fin dalla più tenera infanzia, li prepara non alla costruzione di un mondo migliore, ma alla distruzione, al sacrificio in nome di una guerra che li ha plasmati in nome dell’amore per la patria.

Eppure esiste un patriottismo che addestra, che costringe, che prepara al sacrificio, e poi ce n’è un altro che insegna a costruire, a proteggere e a tramandare. War on Education non si limita a mostrare le conseguenze della guerra, ma invita a immaginare un mondo in cui l’educazione costruisce e non distrugge, in cui il patriottismo si esprime non con la marcia e l’obbedienza, ma con la cura, la libertà e la speranza. È un film che ci costringe a chiederci quale eredità vogliamo lasciare alle generazioni future. Ma la vera potenza del documentario è quello di spingerci con urgenza all’azione. E’ diventato evidente durante la discussione seguita alla proiezione del documentario a Milano, quando una mano si è alzata tra il pubblico e una domanda, semplice e diretta, ha risuonato nella sala: “Sono un insegnante del liceo. Cosa posso fare?”. In quella domanda c’è tutto il messaggio del film: non basta riconoscere le conseguenze della guerra, è fondamentale agire per prevenirle.

Ed è proprio questo che rende War on Education così potente: la capacità di trasformare lo spettatore nel cambiamento, spingendolo a chiedersi quale ruolo possa giocare, nel suo piccolo, per costruire un futuro diverso. Il documentario non offre risposte semplici o preconfezionate, ma invita ciascuno a trovare la propria, partendo dalla consapevolezza e dal desiderio di proteggere i valori fondamentali della nostra società democratica. Questo lo rende non solo un’opera di denuncia, ma un catalizzatore di azioni concrete, un richiamo per chiunque voglia fare la propria parte nel preservare la libertà, l’educazione e la pace.

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