L’unica deriva orbaniana in Europa è degli alleati del Pd, il M5s

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore – Meloni vota con i socialisti in Europa: tempi duri per i sovranisti?

Andrea Mattini

In America no, in Europa sì. E tempi duri anche per gli antisovranisti del Pd, ossessionati dalla deriva orbaniana dell’Italia, che ieri hanno dovuto fare i conti con la realtà: al momento, l’unica deriva orbaniana che si vede in Europa è quella degli alleati del Pd, il M5s, che ieri al Parlamento europeo hanno votato insieme con il partito di Orbán, e quello di Salvini, contro una Commissione europea nata anche per fare tutto il necessario per difendere l’Ucraina.


Al direttore – Berlino: una decina di giorni fa il capo della polizia Barbara Slowik ha invitato gli ebrei e gli omosessuali a prestare attenzione e a non rendersi riconoscibili negli spazi pubblici. “Purtroppo – ha aggiunto – ci sono alcuni quartieri in cui vive la maggioranza delle persone di origine araba che hanno anche simpatie per i gruppi terroristici. Lì si esprime aperto antisemitismo contro le persone di fede ebraica”. Nell’ultimo anno la situazione è infatti peggiorata di giorno in giorno. A poche settimane dal 7 ottobre 2023, parlando di Berlino, il quotidiano Taz affermava: “Qui l’empatia verso gli ebrei è rara quanto un poster per gli ostaggi di Gaza che non venga strappato dopo brevissimo tempo”. Una studentessa ebrea, ad esempio, raccontava alle telecamere di Tagesschau di non poter “entrare alla Freie Universität o all’Università delle Arti perché ci sono minacce concrete” e mostrava la lettera di minacce che lei e altri studenti ebrei avevano ricevuto, con su scritto: “Non vediamo l’ora di farti scivolare giù per il camino di Auschwitz”. Come stupirsi dunque se il 25 novembre, Giornata contro la violenza sulle donne, le strade di Berlino (quartiere Kreuzberg, una vera e propria enclave islamica) si sono ancora una volta coperte di vergogna con migliaia di manifestanti, anche moltissime donne velate, che inneggiavano apertamente a Hamas e a Sinwar. Il video, pubblicato su Instagram, mostra la polizia in seria difficoltà. Non un bel segnale per la capitale di un paese che ha scelto di far divenire la protezione della vita ebraica e il sostegno all’esistenza dello stato d’Israele la ragion di stato tedesca. “E’ nostro compito comune proteggere gli ebrei in Germania” ha sottolineato Nancy Faeser, ministra federale dell’Interno. “L’antisemitismo, non importa di quale parte, è un attacco alla dignità umana. Combatterlo è un compito dell’intera società!”. E, tutto sommato, l’intera Germania è davvero un buon posto in cui, se sei ebreo, puoi scegliere di vivere. Tranne che nella sua capitale.

Daniela Santus


Al direttore – Sappiamo riconoscere la violenza? La violenza è un tema complesso e, soprattutto se pensiamo a quella domestica, familiare, intima, è difficile da individuare, ammettere, gestire. Per poter intervenire, anche su noi stessi, per fermare e fermarci prima, per chiedere aiuto. Perché ci riguarda tutti. Partiamo proprio da qui negli incontri che abbiamo organizzato in Fincantieri con l’iniziativa “Respect for future” per promuovere il rispetto e la prevenzione della violenza di genere. E quando nei nostri cantieri introduco il tema, ricordo un episodio personale. Partecipando a un progetto di volontariato, ho parlato con detenuti accusati di crimini sessuali. Un racconto comune è stato: “Mi si è chiuso qualcosa, non ho capito più niente, ho picchiato, maltrattato, violentato…”. Alcuni hanno ucciso. Al termine di un percorso di violenza che non è stato riconosciuto, denunciato, interrotto. Qualcosa si può chiudere, come mi hanno detto, ma solo se dentro qualcosa davvero manca: il rispetto. Ed è una cultura del rispetto che è necessario costruire. Ovunque. Per prevenire l’oscurità che prende il sopravvento. Nei nostri incontri è emersa una priorità: bisogna lavorare sulla consapevolezza del maltrattante. Per curarlo e per proteggere chi subisce la violenza, modalità inadeguata di affrontare difficoltà e fragilità, che però è spesso normalizzata, e quindi legittimata, dalle società e dalle culture. Non solo da quelle degli altri, come qualche volta si tende a dire, ma anche dalle nostre. La violenza spesso è difficile da riconoscere anche perché non esiste un identikit socio-culturale di chi è violento. Le diverse culture delegittimano alcune emozioni a favore di altre: nei maschi vengono spesso inibite tuttavia, poiché non si possono sopprimere ma solo spostare, il risultato è un iper-investimento nella rabbia, come emozione che nasconde la sofferenza. Ma la rabbia isola. E oscura. C’è un episodio, vero, che raccontiamo spesso in “Respect for future”. Un ragazzo che ha picchiato la sua fidanzata ha ricordato che, nel corso della sua infanzia, assisteva di frequente a litigi violenti fra i genitori, litigi che sfociavano il più delle volte in maltrattamenti da parte del padre, che la madre subiva senza reagire. Per non sentire, per non vedere, perché aveva paura, lui scappava in camera sua, in una piccola tenda indiana che eleggeva a rifugio. Ma la piccola tenda indiana non lo ha protetto. E non ha protetto poi la sua ragazza. Perché la violenza tende a ripetersi. L’azione preventiva e combinata verso il maltrattante non solo può mitigare il fattore di rischio verso la donna, ma anche verso tutti gli altri soggetti coinvolti a partire dai minori e dalle comunità di appartenenza. La violenza è una catena, un terribile lascito personale e culturale. Che si può spezzare: con il rispetto.

Lorenza Pigozzi

direttore comunicazione strategica Gruppo Fincantieri

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