Nel Cantone di lingua italiana è in corso una sorta di rivoluzione culturale in cui è stato sovvertito il paradigma secondo cui il banchiere e banche svizzeri siano sinonimo di efficienza, competitività e competenza. Molti credono che le mosse espansive italiane siano solo all’inizio, ma L’acquisto è un passaggio laborioso e non privo di costi
Sono passati poco meno di dodici mesi da quando la Svizzera è uscita dalla black list dei paesi con regime fiscale agevolato, abbastanza per tracciare un primo bilancio di come siano cambiati equilibri e rapporti di forza bancari fra Italia e Confederazione, i cui rapporti creditizi, complice la vicinanza territoriale e il regime fiscale italiano, hanno avuto una storia controversa venata a volta di scabrosità. Più nel dettaglio è interessante osservare come sia cambiato il Ticino, da sempre primo e più semplice approdo dei capitali in fuga dal Belpaese. Nel Cantone di lingua italiana è in corso una sorta di rivoluzione culturale in cui è stato sovvertito il paradigma secondo cui il banchiere e banche svizzeri siano sinonimo di efficienza, competitività e competenza. Non si tratta solo dell’onda lunga della fine del Credit Suisse. Il mondo bancario ticinese si è dimostrato impreparato alla fine del segreto bancario.
Il modello della società fiduciaria, che per decenni ha funzionato per il solo fatto di essere in grado di schermare capitali e proprietari, oggi non funziona più. Costi di gestione eccessivi, scarsa diversificazione degli investimenti, commissioni salate per qualsiasi operazione hanno portato a una fuga verso modelli più performanti e trasparenti. La novità è che a insegnare cosa sia la banca nel terzo millennio siano le banche italiane. I piani industriali di tutte le banche italiane hanno un punto in comune, il desiderio di crescere nel wealth management. E in questa categoria la preda più ambita sono i cosiddetti Hnwi, acronimo che indica soggetti che hanno un patrimonio netto, esclusa la casa di residenza, di almeno cinque milioni di dollari. Le banche si contendono i banker che hanno fra i loro clienti questi superfacoltosi. Il colpo grosso lo ha fatto Mediobanca che un anno e mezzo fa ha strappato a Credit Suisse Italia il cuore del Team dedicato ai superricchi. Le banche italiane, meglio capitalizzate, con maggiore cultura di mercato e un pacchetto di regole al livello delle best practise mondiale stanno espandendo il business ticinese grazie ai clienti italiani che oggi possono serenamente operare, dichiarandolo in denuncia dei redditi.
Operare attraverso il mercato svizzero consente maggior efficienze sui mercati arabi e di diversificare gli investimenti, come ad esempio quelli in private markets, ancora misconosciuti in Italia. La prima a rendersi conto delle praterie che si stavano aprendo a nord è stata Banca Generali che sotto la guida di Gian Maria Mossa ha ottenuto una nuova licenza bancaria, la prima data negli ultimi vent’anni a soggetti non elvetici. Le banche che sono già presenti sul territorio stanno facendo scouting di professionisti autoctoni, perché il banker ticinese risulta più convincente sul territorio. Ma molti sono convinti che le mosse espansive italiane siano solo all’inizio. Nel passeggio di Via Nassa, la più elegante di Lugano, in molti scommettono su una prossima mossa di Mediobanca, che da prassi non commenta. Molte realtà non cercano una banca. Per operare basta una società che abbia una licenza Fima, la Consob svizzera. Intesa Sanpaolo, che in Svizzera controlla Reyl, esclude grandi acquisizioni, ma non l’acquisito di eventuali piccoli gioielli. L’acquisto è un passaggio laborioso e non privo di costi.
Adeguare la compliance, la conformità delle norme interne alla normativa, è un esercizio che si è rivelato spesso non semplice stante l’abitudine di alcuni banker old style di avere prassi di tesoreria e commerciali alquanto lasche. Non solo. Spesso una parte delle masse, che sono il principale mopltiplicatore su cui le banche fanno il prezzo d’acquisto, una volta chiusa l’acquisizione subiscono una robusta sforbiciata fra quanti vengono invitati a cercare altri lidi e quanti abbandonano per l’addio alla segretezza. Tra le banche minori sta guardando a Lugano anche la Banca Finint, interessata più a uno strapuntino che a un colosso. Le finanziarie svizzere soffrono in silenzio. Il riserbo aiuta a nascondere la difficoltà. Ma le voci corrono e parlano di società in vendita, non confermate, ma insistenti.
Altre licenziano il direttore investimenti, per sostituirlo con un pensionato a tempo determinato, altre smantellano tutto il comparto ricerca. E poi c’è il tema delle masse. Nessuno sa quante siano effettivamente ma è ragionevole pensare che i numeri dichiarati siano distanti dalla realtà. La strategia comune sembra essere l’attesa. Non certo di un miglioramento delle condizioni ambientali, ma, più cinicamente, che la clientela, molta della quale fatta da persone che hanno superato i settant’anni, rimanga in vita. Perché sanno che gli eredi molto difficilmente gli confermeranno i contratti.