Se la guerra nel Mar Rosso contro Israele si ritorce contro gli houthi

Gli attacchi nel Mar Rosso compiuti dai terroristi per distruggere lo stato ebraico hanno finito per arricchire una compagnia israeliana di Idan Ofer

“Morte a Israele”, recita il vessillo degli houthi, ma a ben vedere c’è chi, da israeliano, ha incassato non pochi vantaggi dalla guerra nel Mar Rosso condotta dai terroristi islamici. Si chiama Idan Ofer, ha 69 anni, è uno degli uomini più ricchi dello stato ebraico ed è il proprietario di Kenon Holding, maggior azionista della Zim, uno dei giganti mondiali nel settore dello shipping. Lunedì ha annunciato di avere messo in vendita le sue quote della Zim, con un profitto atteso di 2 miliardi di dollari, pronti a essere reinvestiti in Fleetscape, una flotta di navi in leasing di proprietà del fondo Oaktree. Niente male, visto che a detta degli esperti del settore se la Zim naviga in acque così calme da un punto di vista finanziario il merito è proprio degli houthi, in quello che è uno degli effetti paradossali della guerra di Ansar Allah contro le navi cargo nel Mar Rosso.

I segnali positivi per i bilanci della Zim erano emersi in parte già all’inizio dell’anno, con dati tanto sorprendenti che Trade Winds, un portale specializzato nel settore dello shipping, aveva definito la crisi nel Mar Rosso alla stregua di “un bancomat” a tutto beneficio della Zim. Ora, i numeri dell’operazione di Ofer certificano la tendenza più che positiva, considerando che da un anno il settore nel suo insieme lamenta invece danni esorbitanti per via del blocco dello stretto di Bab el Mandab. Un blocco che ha indotto gran parte delle compagnie di navigazione a modificare le rotte, circumnavigando Capo di Buona Speranza e facendo lievitare costi e tempi di consegna. La crisi della domanda globale, spinta verso il basso soprattutto dalla Cina, ha trovato nella minaccia del gruppo terrorista l’adeguato contrappeso per risollevare i prezzi. L’allungamento delle rotte e il conseguente aumento dei prezzi dei trasporto legati al gasolio e all’assicurazione hanno innescato un aumento dei prezzi, ovviamente ben superiore a quello strettamente necessario alle compagnie per rientrare dai costi. In nome di un rischio molto più alto cui far fronte nell’allungare i viaggi per i trasporti in mare, le compagnie hanno scaricato questo aumento dei prezzi sui consumatori e il risultato è stato un’impennata dei ricavi. Nel secondo quadrimestre del 2024, la Zim ha registrato un + 48 per cento delle entrate rispetto allo stesso periodo del 2023; nel terzo trimestre del 2024 i guadagni sono cresciuti fino a 1,13 miliardi di dollari, rientrando in buona parte dalle perdite registrate nello stesso arco temporale nell’anno precedente e che ammontavano a ben oltre 2 miliardi. E poi c’è il tasso medio per il noleggio dei container, aumentato del 118 per cento. Numeri più che positivi che hanno portato il valore delle azioni di Zim a una crescita nell’ultimo anno del 160 per cento. E’ un regalo niente male fatto a una delle principali compagnie israeliane, ma è anche un cortocircuito della guerra dichiarata dagli houthi a Israele. Per altro, una tendenza positiva analoga sta interessando anche altri giganti del settore, come la danese Maersk, che nel luglio scorso ha riportato una crescita del 20 per cento del valore delle sue quote.

Se però un grande del settore dello shipping ha trovato le contromisure adeguate per fare fronte alla crisi nel Mar Rosso, diverso è il discorso per il settore portuale israeliano. L’hub di Haifa sul Mediterraneo, ma soprattutto quello di Eilat sul Mar Rosso sono in grossa difficoltà. Sopratutto a Eilat, punto di passaggio tra Asia ed Europa che evita l’attraversamento del Canale di Suez, gli attacchi con droni e missili degli houthi hanno costretto un blocco dei traffici durato quasi otto mesi, con un crollo dei volumi scambiati pari all’85 per cento.

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  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare “Morosini”. Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.

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