In un contesto in cui continuano a firmare i contratti e il governo sembra disponibile al dialogo sui temi più criticati della manovra, la protesta generale indetta da Cgil e Uil suscita molte perplessità. Ma l’imprenditore bolognese avverte: “E’ uno strumento epocale, non si può usare alla leggera come se fosse un’abitudine”
“Sì, quando ho accettato nella squadra di presidenza di occuparmi di relazioni industriali ero più ottimista sul possibile dialogo con i sindacati. Lo ammetto. Non mi sarei aspettato già adesso di dover commentare uno sciopero generale”. Maurizio Marchesini, vice-presidente di Confindustria, imprenditore bolognese di successo, proprietario di uno dei gioielli del packaging italiano, non è sicuramente arruolabile come falco. Anzi, è abituato a quella particolare dialettica emiliana con le controparti che gli fa dire: “Il diritto di manifestare è sacrosanto, mi batterò tutta la vita perché lo sia”. Ma a tutto c’è un limite e il vice-presidente ora si dichiara “più che perplesso” sullo sciopero generale di venerdì 29 indetto da Cgil e Uil.
Spiega: “In un momento difficile come questo, in una situazione di crescenti difficoltà internazionali, usare l’arma dello sciopero generale è una scelta grave da parte di Landini e Bombardieri. Lo sciopero generale è uno strumento epocale, alcuni sono stati delle pietre miliari nella storia delle relazioni industriali e anche della politica italiana, non si può usarlo di continuo e alla leggera come fosse ormai un’abitudine”. E ancora: “Vedo una crescita abnorme della conflittualità, stanno inflazionando lo strumento della protesta. Eppure noi continuiamo a firmare contratti uno dopo l’altro. Recentemente sono stati chiusi quello dei tessili e quello dei dirigenti. Siamo gente di buona volontà e vogliamo i fatti”. E invece Cgil e Uil “dichiarano lo sciopero prima ancora di discutere i contenuti con il governo, non ha senso”. Secondo Marchesini il governo ha ascoltato proposte, come quella del taglio del cuneo fiscale, avanzate proprio da industriali e sindacati e che vanno in direzione di aiutare le fasce medio-basse di reddito. “Il governo sta cercando soluzioni, dagli incentivi agli investimenti alla sanità. Anche noi industriali abbiamo criticato alcuni punti della legge di bilancio ma i ministri competenti stanno lavorando per fare dei passi in avanti nel negoziato. Ripeto: servono soluzioni, non comizi. E la possibilità di dialogare con questo governo esiste”.
A preoccupare Confindustria è anche la divisione tra i sindacati confederali con Uil-Cgil da una parte e Cisl dall’altra. “E’ un vero problema per lo sviluppo delle relazioni industriali, rende difficile anche la nostra azione, ci mette nell’impossibilità come industriali di ragionare con tutte e tre le sigle dei problemi aperti. E’ una divisione che preferiremmo si superasse. Da imprenditore sono ottimista per contratto ma vedo che è un momento difficile sia per seminare che per raccogliere”. C’è un tema però sul quale tutti e tre i sindacati sembrano avere un orientamento comune: i salari bassi. “Quando Landini dice che per aumentare gli stipendi basta aumentarli, dice una cosa senza costrutto. Così le aziende chiudono, perché noi viviamo in un clima di competizione feroce e non di protezione. Per aumentare i salari ci vuole più produttività e per questo sosteniamo una contrattazione che sia più vicina alla produzione, al mercato. Il contratto nazionale deve restare un elemento di garanzia e tutelare le condizioni di vita ma si crea ricchezza solo facendo crescere la produttività in fabbrica. Come abbiamo fatto con Industria 4.0”.
E’ per questo motivo che si è andati alla rottura delle trattative sul rinnovo del contratto dei metalmeccanici? “Dico subito che si tratta di un contratto-bandiera e quindi non posso non essere preoccupato – risponde Marchesini –. Ma, come ho detto, noi i contratti li firmiamo volentieri, abbiamo la penna pronta. Nel nostro schema gli aumenti di salvaguardia delle retribuzioni sono demandati al meccanismo automatico dell’Ipca al quale però aggiungiamo un robusto pacchetto welfare fatto di un numero infinito di voci. Sono interventi che costano, nessuno ce li regala! I sindacati invece oltre l’Ipca vogliono altri sostanziosi aumenti ma le due cose non stanno assieme, le nostre imprese non ce la fanno”.