La recensione del libro di Giorgio Boatti edito da Einaudi, 384 pp., 22 euro
Per quasi vent’anni, fatto salvo un breve intermezzo a cavallo della metà degli anni Venti, Mussolini non ha ricoperto solo il ruolo di presidente del consiglio del consiglio dei ministri, ma, oltre alle tante altre roboanti cariche, nominali o effettive, anche quello di ministro dell’Interno. Può sembrare un dettaglio di poco conto, eppure è da qui che si deve partire per cogliere la centralità dell’apparato repressivo all’interno del sistema totalitario. Giorgio Boatti, autore di importanti ricostruzioni su piazza Fontana e sui professori che ebbero il coraggio di non giurare fedeltà al regime, ricostruisce le storie degli uomini che fecero parte “di quella creatura temibile e indistruttibile che è la polizia politica”.
La forma di questo libro somiglia a quella dell’arcipelago, dove le storie individuali dei cacciatori di antifascisti si sommano a quelle di varie altre tipologie di personaggi: il traditore, l’infiltrato, il doppiogiochista. Centrale in questa universo è la figura di Guido Leto, funzionario di lungo corso del Viminale sin dal primo Dopoguerra, diventato sempre più potente fino ad essere nominato, negli anni più caldi del regime, a capo dell’Ovra, l’Opera vigilanza repressione antifascista. Personaggio scaltro e intelligente, Leto tiene le fila dello spionaggio interno fino a tutta la stagione della Repubblica sociale, tanto che la sia biografia può essere letta come una “sintesi emblematica dell’arte di sorvegliare il dissenso e imbrigliare l’opposizione al potere, dispiegando sulla scacchiera della repressione poliziesca tutti gli strumenti dell’indagine e dell’infiltrazione, della provocazione e del doppiogioco”.
Tanti altri sono i nomi, le storie che incontriamo in questo libro inusuale quanto affascinante, in grado di illuminare concretamente su alcune delle contiguità, tante volte sbandierate ma raramente approfondite, tra gli anni del fascismo e quelli della repubblica.
Come ad esempio nel caso della strage alla fiera di Milano del 1928, dove l’esplosione di una bomba in occasione della visita del re provoca venti morti e oltre quaranta feriti. Le indagini sono indirizzate verso un gruppo di antifascisti comunisti, ma le prove sono labili, i fermati un gruppo con pochi mezzi, scarse conoscenze e pesantemente infiltrato. Perfino il Tribunale speciale è costretto a scagionarli dall’orrendo reato. Mentre tutt’intorno ci si affanna per nascondere le tracce sempre più evidenti che portano immancabilmente alla famigerata pista nera.
Giorgio Boatti
Inganno di Stato
Einaudi, 384 pp., 22 euro