I maschi smaniano e si accapigliano, lei continua a piazzare alleati nel prossimo governo di Donald Trump
Faccio ordine dove c’è il caos, scrive su LinkedIn Susan Wiles, la donna più potente del trumpismo, la più riservata, la più calma. Mentre tutti cercano di decifrare come sono i rapporti tra Donald Trump e i suoi “bro”, con una peculiare ossessione per Elon Musk, il “supergenio” tanto ricco quanto volubile, Susan Wiles, architetta della vittoria di Trump e ora sua chief of staff, sta in disparte e butta lì le sue preferenze, che a volte diventano nomine nel prossimo governo trumpiano. I maschi litigano, lei decide.
Ieri si è saputo che un’inchiesta interna al team della transizione ha stabilito che Boris Epshteyn, avvocato del presidente (ri)eletto, ha chiesto dei gettoni come compenso per insistere presso Trump per far nominare questo o quello. La settimana scorsa, il Washington Post ha scritto che Epshteyn sarebbe arrivato alle mani con Howard Lutnick, che guida il team della transizione ma che non ha tenuto a bada la smania di autonominarsi al ministero del Tesoro, finendo per bruciarsi. Lutnick aveva dalla sua parte lo stesso Musk e per questo pensava che fosse fatta, ma questa volta Trump non ha seguito il consiglio di “uncle Elon”, e ha scelto Scott Bessent, al quale, nel febbraio scorso, Epshteyn aveva detto: se mi dai 30 mila dollari al mese, ti faccio entrare nel club trumpiano. Bessent non ha accettato, ora è candidato al ministero del Tesoro con buone possibilità di essere confermato, anche se Musk lo definisce uno poco rivoluzionario, che non cambierà nulla.
Non si sa ancora se c’è, nell’ascesa di Bessent, lo zampino di “nonna Susie”, ma si sa che la sfortunata (e sciagurata) nomina di Matt Gaetz alla Giustizia è stata decisa nelle ore di volo tra Washington e Palm Beach dopo che Trump era andato alla Casa Bianca dal presidente Joe Biden, e che è stata concordata quando Wiles era a discutere di altre selezioni in un’altra parte dell’aereo. Gaetz si è poi ritirato, al suo posto è stata nominata Pam Biondi, lei sì molto vicina a Wiles, proprio come Marco Rubio, nominato al dipartimento di stato, e Mike Waltz, nominato consigliere per la Sicurezza nazionale. Fanno parte di quella che viene chiamata “Florida connection”, di cui Wiles è la burattinaia incontrastata. In Florida questa donna di 67 anni che ama gli occhiali a specchio e detesta farsi notare – i maschi smaniano, lei vuole che loro abbiano bisogno di lei – ha costruito la sua carriera da stratega elettorale, la sua famiglia e la sua fortuna, che si fonda su un intenso lavoro di lobby che tocca molte aziende e anche paesi come il Qatar e la Cina. Si è fatta soltanto un nemico, in questo stato, ed è Ron DeSantis, che pure è stato eletto governatore grazie a lei ma che poi ha tentato di estrometterla anche dal mondo trumpiano: sappiamo chi ha vinto (si è presa una soddisfazione anche, postando su X, dopo che non lo faceva da mesi, un “bye bye” quando DeSantis si è ritirato dalle primarie). Nessuno l’ha mai vista sfuriare, nessuno l’ha mai sentita lamentarsi, alcuni dicono che ha imparato da un padre alcolizzato e assente (Pat Summerall, “the voice of football”) ad avere a che fare con uomini famosi e disfunzionali, e che ha imparato da sua madre a non illudersi di saper gestire maschi così, ma di aiutarli sì, rendendosi indispensabile, imponendo la propria disciplina e i propri alleati, ottenendo il potere, e usandolo.