La recensione del libro di Piero Boitani edito da il Mulino, 488 pp., 45 euro
Celebre è rimasto il seguente aforisma di Italo Calvino: “Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire”. Lo cita anche Piero Boitani in questo suo ottimo volume che di quella felice espressione calviniana rappresenta una prova inconfutabile. Non v’è dubbio, infatti, che ogni titolo di opera e ogni nome di autore che Boitani propone all’attenzione del lettore lungo il suo coinvolgente racconto suscitino la sensazione che essi effettivamente non abbiano ancora finito di dire quello che hanno da dire. Certo, ciò lo si deve pure alla profonda sensibilità e alla bravura dell’autore, che sa scoprire e valorizzare al massimo i tesori custoditi, a volte persino nascosti, nelle pagine di tanti capolavori la cui ricchezza appare davvero inesauribile. Attraverso l’indicazione dei “suoi” classici, Boitani tocca i temi più diversi che da sempre hanno affascinato l’umanità: il fato e la sapienza, la storia e la tragedia, il dolore e la morte, la poesia e la filosofia. Ognuno di questi argomenti richiama alla mente, e al cuore, nomi incancellabili: Omero e Aristofane, Lucrezio e Tucidide, Platone e Aristotele, Socrate e Seneca, Orazio e Virgilio e vari altri ancora. Così, davanti agli occhi di chi legge, la classicità si mostra in tutto il suo splendore e in tutta la sua drammaticità. Boitani non fa mistero di aver operato delle scelte in base alle proprie preferenze personali. E noi lo seguiamo volentieri, per esempio quando ci parla di Socrate, soprattutto prendendo in esame “quello scritto sensazionale che è l’Apologia di Socrate, composta da uno dei suoi discepoli, Platone”. Il grande maestro ateniese è davanti ai giudici e prova a dimostrare l’inconsistenza delle due accuse che gli sono state mosse: quella di aver corrotto i giovani e quella di aver attaccato la religione tradizionale. Scrive Boitani: “Il processo di Socrate è uno di quei momenti cruciali nella storia dell’occidente, la cui importanza risuonerà per i successivi duemilacinquecento anni”. E’ stato Socrate vittima dell’ingiustizia? Ha fatto bene ad accettare il verdetto dei giudici oppure doveva rifiutarlo e fuggire, come alcuni suoi amici gli consigliavano? Ma, forse, questi interrogativi diventano di secondaria importanza, se della morte non si ha timore, e Socrate non ha paura di morire. Rivolgendosi ai giudici, così conclude la sua difesa: “Ma ecco che è l’ora di andare: io a morire, e voi a vivere. Chi di noi due vada verso il meglio è oscuro a tutti fuori che a Dio”.
Piero Boitani
Il grande racconto dei classici
il Mulino, 488 pp., 45 euro