Il gran patto tra Schlein e Meloni

Il voto per von der Leyen oggi a Strasburgo, insieme, e poi l’accordo sul “Salva Milano”, la politica estera, il bipolarismo e i 48 voti in Parlamento. Cosa può nascere dalla coppia politica più pazza di questa legislatura

E’ una strana coppia, lo sappiamo, ma è una coppia che ormai esiste davvero, per lo meno in qualche partita importante, ed è una coppia che oggi, in modo tanto scandaloso quanto opportuno, si andrà ad abbracciare, seppure a distanza, nella culla della politica europea, a Strasburgo, dove il Parlamento europeo, poco prima di pranzo, voterà per dare la fiducia alla Commissione europea guidata da Ursula von der Leyen. E’ una strana coppia, lo sappiamo, ma è una coppia che merita di essere raccontata, tanto più che è formata da due personaggi, due donne, che si trovano ai vertici opposti della politica italiana: Giorgia Meloni ed Elly Schlein. Il primo dato, il più eclatante, è quello che si manifesterà oggi, quando Giorgia Meloni ed Elly Schlein scopriranno che sulle partite che contano, per esempio quelle europee, la propria linea è più vicina a quella espressa dal principale avversario che a quella espressa dal principale alleato (Fratelli d’Italia e Partito democratico voteranno sì alla Commissione von der Leyen, Lega e M5s voteranno no).

E il dato che emergerà oggi – quando Pd, FdI e FI voteranno a favore di Ursula, mentre Lega e M5s no – è figlio di altri incroci non sbandierati e spesso sottovalutati da entrambi i partiti. Sulla politica europea, tanto per dirne una, la scorsa settimana il Partito democratico ha votato responsabilmente insieme a Fratelli d’Italia per il candidato commissario indicato dal governo italiano per la Commissione europea, Raffaele Fitto. Sulla politica estera dell’Unione europea, per esempio, le posizioni che hanno Fratelli d’Italia e Pd sono più vicine tra loro rispetto a quelle che hanno Fratelli d’Italia e Pd con alcuni alleati e sul tema dell’invio delle armi in Ucraina, per esempio, Meloni sa che il Pd di Schlein al netto di alcuni dissidenti ha potenzialmente una linea, sulla difesa dell’Ucraina, più solida rispetto a quella che ha la Lega di Salvini.

A voler essere maliziosi, ma ovviamente non lo saremo, in Europa le posizioni espresse da parte di Meloni sono ancora più sorprendenti e non ci vuole uno scienziato della politica per accorgersi che sui temi dell’immigrazione (Patto sulla migrazione e l’asilo) e sui temi legati alle regole europee (Patto di stabilità) i voti messi in campo dalla presidente del Consiglio in questi anni di governo siano stati simili a quelli dei socialisti più di quanto lo siano stati quelli del Pd rispetto alla linea dei socialisti (Schlein non ha votato a favore del Patto sulla migrazione e l’asilo e del Patto di stabilità, Meloni e i socialisti sì). L’Europa, naturalmente, è solo un pezzo della storia, anche se l’Europa spesso è la cartina al tornasole della vera identità dei partiti e delle leadership, ma accanto a ciò che andrà in scena in Europa ci sono altri elementi interessanti che meritano di essere messi in fila.

Un primo tema, suggerito sabato scorso dal Corriere della Sera, riguarda l’accordo di sistema che Schlein e Meloni stanno costruendo per la nomina dei quattro membri della Corte costituzionale che ancora mancano all’appello e per i quali serve la maggioranza dei tre quinti. L’accordo c’è: due nomi per la maggioranza (uno sarà Marini), uno per l’opposizione, uno non sgradito a maggioranza e opposizione. Sono piccoli segnali di dialogo, si potrebbe dire, ma che diventano qualcosa di più interessante se messi insieme ad altri due fatti. Il primo è un dato numerico: dall’aprile del 2023, da quando Elly Schlein guida il Pd, ovvero nelle stesse ore in cui i democratici accusavano il governo di essere protagonista di una deriva autoritaria, il Pd ha votato in quarantotto occasioni insieme con la maggioranza su alcuni provvedimenti in Aula, al voto finale, e in venti casi lo ha fatto da solo, votando con la maggioranza ma senza il M5s. L’ultimo caso, il più clamoroso, è quello che si è andato a manifestare il 21 novembre, quando il Partito democratico ha votato in Aula per il cosiddetto “Salva Milano”, riconoscendo la corretta interpretazione delle norme fatte in questi anni dal comune di Milano, incoraggiando il comune a non smantellare un modello di efficienza burocratica che ha permesso di attirare investitori nel nostro paese, e facendo uno sforzo per porre un freno alle esondazioni di un’importante procura, quella di Milano.

La sintonia a volte profonda che esiste tra alcuni amministratori locali del Pd e il presidente del Consiglio a volte travalica l’asse cordiale costruito dal leader della maggioranza con quello dell’opposizione e non è raro incrociare sindaci del Pd che su alcuni temi si trovano in sintonia con il governo. Un esempio: l’amministrazione romana guidata da Roberto Gualtieri che sul Giubileo ha costruito un patto di ferro con il governo, e con il sottosegretario Alfredo Mantovano, il quale sindaco da due anni, in nome della realpolitik, è stato risparmiato dai partiti della maggioranza di governo, che salvo rare occasioni hanno sempre scelto di non demonizzare l’amministrazione romana. Un secondo esempio: i sindaci del Pd arrivati a essere entusiasti del ministro Carlo Nordio, felici nello specifico di non avere più tra i piedi una norma, come quella dell’abuso d’ufficio, che ha contribuito per anni a trasformare nei comuni, anche quelli guidati dal Pd, l’immobilismo nell’unica forma di legalità consentita.

I rimestatori di fango, fango quotidiano, ogni volta che vi è un leader dell’opposizione che su alcuni temi si avvicina al leader della maggioranza tendono a definire questo incontro come un “inciucio” (l’“inciucio” vale solo quando a incontrare il caimano di turno è un leader che non si ama, come Schlein, mentre l’inciucio diventa magicamente “accordo pragmatico” quando il leader che fa accordi con la maggioranza, come sulla Rai, è un proprio beniamino, come Giuseppe Conte e come il M5s). Più realisticamente di fronte agli incroci inaspettati che sui temi che contano esistono tra il Pd di Schlein e i Fratelli d’Italia di Meloni non sarebbe uno scandalo augurarsi che due leadership figlie di una vecchia stagione bipolarista che potrebbe nuovamente avere un futuro scelgano con intelligenza di utilizzare i prossimi tre anni di legislatura per trovare nuovi punti di incontro su altre partite che contano. In Europa, in Italia, sulla crescita, sul lavoro, sulle riforme, sulla produttività, sulla politica estera, sui salari, sull’attrazione di investimenti dall’estero. Gli stolti lo chiamerebbero inciucio, i meno stolti la chiamerebbero opportunità. Che aspettiamo?

  • Claudio Cerasa
    Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e “Ho visto l’uomo nero”, con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.

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