Dai cavalieri di Star Wars come icone del maschilismo tossico al passato patriarcale della matematica. Laura Helmuth ha lasciato la direzione della prestigiosa rivista scientifica dopo quattro anni di attivismo senza rivali
Con encomiabile fair play Laura Helmuth, direttrice della prestigiosa rivista Scientific American, il giorno dopo la vittoria di Donald Trump ha espresso il suo legittimo rammarico twittando dal suo account Bluesky, social alternativo a X, “La mia generazione X è così piena di fottuti fascisti”; augurando ai suoi compagni di liceo trumpiani un trattamento imperiale –“fotteteli fino alla luna e ritorno”; definendo l’Indiana, il suo stato di nascita, come “razzista e sessista”. Un mirabile aplomb tutto scientifico che ha scatenato una tempesta mediatica, Elon Musk compreso, e ha convinto Helmuth a cancellare i suoi post “offensivi e inappropriati”, assicurando di “rispettare e dare valore alle persone di tutto lo spettro politico” e di rimanere “impegnata nella comunicazione civile e nell’obiettività editoriale”. Quei post, ha aggiunto, “non rispecchiano le mie convinzioni”, sono solo “l’espressione sbagliata del mio stato di shock e confusione dopo i risultati elettorali” e naturalmente “non rappresentano le posizioni di Scientific American”.
Troppo tardi. La mannaia dell’editore è calata a stretto giro: “Laura Helmuth ha deciso di lasciare la direzione di Scientific American. Ringraziamo Laura per i suoi quattro anni alla guida”. Helmuth ha annunciato che avrà più tempo per la sua passione, il birdwatching. Un caso paradigmatico della spensierata e pluriennale gestione woke di alcune tra le più importanti testate scientifiche del mondo: memorabile la cover di Lancet che definiva le donne “corpi con vagine”, anche qui con scuse successive. Ma l’attivismo di Helmuth non ha avuto rivali: indimenticabile un articolo del 2021 dal titolo “La matematica moderna si confronta con il suo passato patriarcale bianco”, vero e proprio manifesto del risveglio che riferiva dell’emarginazione dei matematic* ner* e lgbtq+ organizzati nel Trans Math Day.
Pregevole anche il pezzo contro “Star Wars”, titolo: “Perché il termine ‘Jedi’ è problematico per descrivere programmi che promuovono giustizia, equità, diversità e inclusione”. In sostanza gli Jedi, altro che giusti: “Sono un ordine religioso di monaci-poliziotti intergalattici, inclini al salvatorismo (bianco) a ad approcci tossici maschili alla risoluzione dei conflitti (duelli violenti con spade laser falliche)”. E veri cultori dell’esclusione. Per non parlare del sostegno sfegatato di Helmuth – ça va sans dire – alle terapie farmacologiche affermative per i bambini gender non-conforming: le politiche che limitano i trattamenti sono “pericolose, crudeli, bigotte e contrarie a tutte le migliori prove scientifiche e mediche”. And so on.
“Quando eravamo alla facoltà di Medicina” si lamentava qualche mese fa Carl Henegan, direttore del Centro per la medicina basata sull’evidenza dell’Università di Oxford, “Scientific American era considerata una fonte affidabile di riassunti da usare per prepararsi agli esami. E’ la rivista scientifica più antica d’America. Fin dal 1845 era nota per gli articoli di scienziati di fama mondiale. Non più: gli articoli sono pieni di frodi e stregoneria delle citazioni”. La notizia non è l’addio di Helmuth ma come sia potuta durare così a lungo.