Milan Djuric è una resistenza

Il bosniaco ha riempito il vuoto pneumatico dell’attacco del Monza di quest’anno. Lo ha riempito a forza di spallate e forza fisica, a forza di difesa della posizione e colpi di testa

Quando i campi da calcio non hanno spalti, magari giusto una tribunetta in tubi Innocenti che traballa a ogni gol, e pure poca erba e sono affollati da ragazzini con tanta voglia di giocare ma con piedi salatissimi (forse anche per questo che i campi di provincia dimenticati dal talento sono fatti di polvere e fango), c’è soprattutto una tattica che va per la maggiore. Quella del calcio-parrocchia che in Veneto viene riassunto in un semplice “alta che à se suga”. Utilizzando l’italiano è molto meno bello e armonico: “Alta che si asciuga”. Ci si riferisce ovviamente alla palla e alla necessità di calciarla lunga verso l’attacco perché a giocarla a terra, tra fanga e poca bravura, altrimenti non arriverebbe mai agli attaccanti. Quando si gioca a questa maniera serve un attaccante grande e grosso e potente, capace di fare almeno due cose basilari: stoppare la palla in qualche modo oppure colpirla di testa. Di solito quelli bravi con la testa hanno piedi che non sono granché, soprattutto pochissima grazia. Di gente grande e grossa, brava di testa e coi piedi dolci ne è esistita poca, e di solito erano campioni. Gli altri, quei pochi che avevano qualche dote calcistica in più hanno a lungo affollato i campi di Serie C e Serie B, qualcuno s’è ritagliato pure uno spazio in A e fatto godere fedeli da tribune provinciali.

Ormai quasi tutti quelli grandi e grossi sono dotati pure di piede più che decente, anche perché si cresce di più perché si mangia meglio e abbondante. C’è nemmeno più bisogno del calcio à la “alta che à se suga”, ormai. La modernità non è poi così male.

C’è però chi ancora dà dignità al calcio parrocchia. C’è chi ancora ci fa ricordare quei centravanti di un tempo andato, che non si è piegato alla modernità del tocco raffinato, dell’attaccante capace di fare tutto (e quindi a volte niente): Milan Djuric.

Milan Djuric è una riserva indiana, è una resistenza, un’apparizione di qualcosa che è sparito o sta sparendo. Tanto sembra goffo con la palla al piede (che poi non lo è davvero, lo sembra solo), tanto è armonico ed elegante quando il pallone lo colpisce con la testa. E non è semplice. Nemmeno scontato. Perché non basta essere alti, e lui sfiora i due metri (199 centimetri), serve coordinazione, tempismo e senso del ritmo. Tutte doti che il centravanti del Monza ha a bizzeffe.

Milan Djuric (foto LaPresse)

Milan Djuric ha riempito il vuoto pneumatico dell’attacco del Monza di quest’anno. Lo ha riempito a forza di spallate e forza fisica, a forza di difesa della posizione e colpi di testa. Lo ha riempito mettendo giù palloni che scendevano dal cielo, smistandoli ai compagni. E segnando.

Non è un goleador Milan Djuric. Lui i gol li ha sempre fatti fare agli altri. E molto spesso senza neppure dover passare un pallone. Bastava il suo fisico, la capacità di fare scudo con il corpo all’avversario e lasciando così ai colleghi lo spazio giusto per inserirsi e calciare. Quest’anno però si è anche messo in proprio come gli era capitato pochissime volte in carriera. Come mai gli era capitato in Serie A.

Alessandro Nesta d’altra parte non è tipo da lasciarsi abbindolare dalla moda di considerare lo spazio il vero centravanti di una squadra. Lui il centravanti ce lo deve avere anche perché i suoi compagni, un po’ persi senza il talento di Andrea Colpani e in attesa che Matteo Pessina ritrovi la forma dei giorni migliori, non saprebbero che fare senza quel pennellone che per creare occasioni da gol, sue o dei compagni, usa le zuccate invece dei piedi.

Milan Djuric si è trovato suo malgrado in questa situazione. Non è uomo che spicca per egoismo, al contrario di troppi attaccanti. Lui ha sempre posto il bene collettivo ben al di sopra del bene individuale e per questo spesso ha dovuto leggere o ha sentito dire di non valere la Serie A, di non essere un attaccante di razza. Che razza di attaccanti vorrebbero i detrattori del bosniaco di Brianza non è dato a sapersi, quel che è certo è che se il Monza può ambire alla salvezza lo deve anche a questo centravanti dalle spalle larghe, dalla testa fine e dalla capacità di far giocare al meglio gli altri. Riservandosi per se stesso qualche momento di gioia personale mentre in tribuna si festeggia per un gol.


Anche quest’anno c’è Olive, la rubrica di Giovanni Battistuzzi sui (non per forza) protagonisti della Serie A. Piccoli ritratti, non denocciolati, da leggere all’aperitivo. Qui potete leggere tutti gli altri ritratti.

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