L’analfabetismo giuridico dilaga. Un caso maggiore e uno minore

A leggere e ascoltare i commenti sul mandato d’arresto della Cpi per Netanyahu e sul rinvio a giudizio di un filosofo per maltrattamenti c’è da mettersi le mani nei capelli. Presunzione d’innocenza, questa sconosciuta

Ricordo una collana dell’editore Longanesi contrassegnata dalla fascetta: “Contro l’analfabetismo matematico e scientifico in Italia”. Forse è tempo che qualche editore di buona volontà inauguri una nuova collana: “Contro l’analfabetismo giuridico in Italia”. Le ricadute sulla vita civile di questa seconda forma di ignoranza sono ben più immediate. L’ho constatato assistendo al dibattito su due notizie recenti, una grande e una minuscola: il mandato d’arresto della Corte penale internazionale per Netanyahu e la partecipazione a un festival di un filosofo rinviato a giudizio per maltrattamenti. Ne sono uscito con le mani nei capelli. Ho visto accademici, scrittori, intellettuali, attivisti, sventolatori di PhD che rivelavano di non avere la più pallida idea della differenza tra un mandato d’arresto e una condanna, e che accusavano i perplessi di non rispettare le decisioni della Cpi. Ho visto persone con tanto di cattedra e distintivo sostenere seriamente che non si può essere favorevoli a un provvedimento e contrari a un altro, se emessi dalla stessa Corte. Ho visto persone che scrivono libri sostenere che un rinviato a giudizio dovrebbe, per buon gusto, stare in silenzio, anzi che “fino a sentenza può starsene a casa” (la presunzione d’innocenza è come l’omosessualità per i benpensanti, la si può tollerare ma non va ostentata). Ho visto concilii di dotti raccomandarsi con ammirazione un intervento balengo in cui si sosteneva che un accusato è innocente fino a condanna definitiva, sì, ma che anche le accuse “possono ritenersi vere fino a prova contraria”, dunque pari e patta (è l’imputato di Schroedinger, che è simultaneamente presunto innocente e presunto colpevole finché il giudice non apre la scatola). Ho letto firme di spicco sostenere che dobbiamo bilanciare i due princìpi, la presunzione d’innocenza e il “sorella ti credo”, come se fossero entrambi di rango costituzionale. Allora, esiste là fuori un editore di buona volontà?

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