Il mandato d’arresto dell’Aja potrebbe avere innescare procedimenti penali contro cittadini israeliani in tutto il mondo. Un effetto domino che si può contrastare, ci dice Mohammed Wattad, uno tra i primi arabi israeliani a specializzarsi alla Corte suprema israeliana
Tel Aviv. “Israele ha tutti gli strumenti per autoinvestigarsi. Non solo: dovrebbe anche agire attivamente contro chi incita al genocidio verso lo stato d’Israele”. Il professore Mohammed Wattad è assolutamente convinto che Israele debba e possa agire contro il fronte giudiziario aperto dalle corti dell’Aia. Nato nel 1980 nel villaggio arabo-musulmano di Jatt, Wattad è stato tra i primi arabi israeliani a specializzarsi alla Corte suprema israeliana. Dottorato alla Columbia in Diritto internazionale, oggi è presidente del Ramat Gan Academic College e ricercatore senior dell’Istituto per gli Studi della sicurezza nazionale d’Israele. Wattad aveva previsto tutto già quando il Sudafrica aveva intentato la causa alla Corte internazionale di Giustizia per genocidio. “Era chiaro che ci sarebbe stato un effetto domino, che peraltro ora potrebbe avere ripercussioni ancora peggiori innescando procedimenti penali contro cittadini israeliani in tutto il mondo”. Wattad si riferisce alla possibile applicazione del diritto universale nei paesi con ordinamento giuridico anglosassone, in primis l’Inghilterra.
“Qualsiasi persona può andare alla polizia di Londra e denunciare la presenza sul suolo britannico di un ufficiale israeliano, nemmeno di grado troppo elevato, che magari è in vacanza con la famiglia. Era già successo nel 2009 con Tzipi Livni. Penso che gli israeliani debbano rimanersene a casa per un po’”. Come se ne esce? “Israele adempie al diritto internazionale come parte del proprio sistema giuridico, compreso quello militare. E’ tutto scritto nel nostro ordinamento, non abbiamo di certo bisogno di essere investigati da istanze esterne. Israele è uno stato democratico con un apparato giuridico indipendente tra i più rinomati e professionali al mondo. Questi mandati sono reversibili: ma Israele deve intraprendere alcune azioni per fare valere il principio di complementarità del diritto”. Ossia il principio base che governa il diritto internazionale per cui i tribunali internazionali possono investigare uno stato solo se è appurato che non vi è autonomia del sistema giudiziario.
Le azioni dei tribunali dell’Aia sembrano però non tenere conto di questo principio che Wattad dà come assodato. “Può darsi che la Corte sia mossa da moventi antisemiti, ma io sono un giurista e guardo le cose con un approccio pragmatico e non politico: ora dobbiamo fare in modo di evitare un’alluvione di mandati di cattura o di altre indagini che rischiano di impattare sulla vita di migliaia di israeliani. Quindi, è urgente ritrasferire il discorso nell’ambito puramente giudiziario per fare valere le istanze israeliane”. I materiali su cui si basa la decisione di spiccare i mandati di arresto per Benjamin Netanyahu e Yoav Gallant da parte della Corte penale internazionale non sono pubblici, ma chi di dovere in Israele sa di cosa si tratta e ha quindi tutti i mezzi per contrastarla, secondo il professore. “E’ pretestuoso mettere in discussione l’autonomia dell’ordinamento giuridico israeliano per via del dibattito interno sulla riforma giudiziaria. E’ vero che è stato un anno duro con le proteste, ma ancora siamo nell’ambito di un dibattito legittimo in un paese democratico che non ha superato nessun limite di ragionevolezza e le corti sono del tutto indipendenti in Israele. Non è che i giudici o la procura generale sono delle marionette: al contrario, sono estremamente attivi e sfidano l’esecutivo tutto il tempo. Israele sta intraprendendo una guerra giusta contro il terrorismo, secondo il principio di autodifesa, dopo l’attacco del 7 ottobre e ha tutti gli strumenti per autoinvestigarsi e difendere le proprie ragioni, come ha giustamente fatto alla Corte internazionale di giustizia”.
Non solo, Wattad è convinto che Israele dovrebbe sfruttare le istanze internazionali a proprio vantaggio: “Guardo la Convenzione contro il genocidio, e chi c’è tra i firmatari? L’Iran, il Libano, lo Yemen. Israele dovrebbe agire attivamente, perché ha un case molto serio se guardiamo come si svolge il dibattito all’Aia: ci sono innumerevoli dichiarazioni pubbliche dei leader iraniani che rientrano nella categoria di incitamento al genocidio, che vengono messe in atto attraverso azioni dirette o indirette tramite il Libano e lo Yemen. Perché non è Israele a portare questi stati sul banco degli imputati? Invece di reagire soltanto, Israele avrebbe potuto agire attivamente, specie dopo l’attacco indiscriminato del 7 ottobre. E’ stato un errore fatale non averlo fatto, perché avremmo potuto creare noi quell’effetto a catena”. Esattamente quello che invece hanno sapientemente avviato i nemici di Israele.