Amare lezioni dal voto in Romania, un colpo di grazia, dove è arrivato primo l’outsider Georgescu. E due parole su Hegel e Croce
Le elezioni rumene sono un colpo di grazia. Non c’è niente di più prezioso del senso di responsabilità, e niente di più letale. Soprattutto quando si tratti di democrazia. Fragile, maneggiare con cura – può andare in pezzi. E quando è andata? Gli espedienti lessicali per esorcizzarne la constatazione si sono moltiplicati, la democratura, la democrazia illiberale. Quella che una volta era sentita come una parzialità, se non una truffa, la democrazia “formale” opposta a quella “sostanziale”, è andata riducendo le sue pretese fino a un estremo, esile appiglio: le elezioni, il suffragio universale. Le altre condizioni si assottigliavano, il vigore di un’opinione pubblica e delle sue sedi, una libertà di pensiero e di espressione, un bilanciamento di poteri, restavano tuttavia le più o meno libere elezioni. Erano il discrimine: in Russia no, una farsa, in Ungheria sì. Chi andava al governo andava di fatto al potere, e lo usava per imbavagliare l’informazione, abusare della propaganda, subordinarsi la magistratura, asservire il legislativo all’esecutivo, ma sarebbe comunque ripassato dal voto, e dalla possibilità di ricambio che prometteva. Succedeva ancora, infatti. E’ successo in Polonia. Si può ancora figurarsi che succeda in Ungheria, e che uno di famiglia come Péter Magyar riesca a imporsi col programma di un orbanismo senza Orbán, no alla corruzione, no al clan e alla mafia, e sì al resto.
Quello che il senso di responsabilità raccomanda di non dire – Fragile! Cautela! – è che le elezioni non sono più il passaggio obbligato e arrischiato, “democratico”, che i regimi illiberali devono superare, ma una loro condizione di favore. Che i regimi illiberali passano da lì. E’ appena successo, sulla scala massima, negli Stati Uniti. Quel Trump che aveva provato a invalidare le elezioni e a tentare il colpo di mano sul Campidoglio, e che si era ripresentato, carico di imputazioni e condanne, annunciando che non avrebbe riconosciuto un voto contrario e che bisognava aspettarsi un bagno di sangue – le ha vinte, semplicemente. Le ha vinte lui, e per lui Musk. In Romania è arrivato primo l’outsider Georgescu e per lui TikTok. Conclusione: il confine ultimo fra autarchia e democrazia non saranno più, non sono già più, le “libere” elezioni. Ed è ora di guardare in questa luce all’esuberanza dell’astensionismo.
Non è una novità, si dirà. Si ricorderà, ormai un luogo comunissimo, che i fascismi andarono al potere “legalmente”, e per via elettorale. Ma i fascismi avevano accumulato prima una forza armata, e l’avevano largamente impiegata. Le destre “occidentali” no, se non in misura ancora ridotta.
Sull’orizzonte presente pesano minacce finali, e questa è una vera novità, dopo il ’45 e il ricorso all’atomica che illuse insieme di farne un tabù, una prima e un’ultima volta, e di far coincidere l’idea di pace con quella di deterrenza. Le minacce ultime oggi sono molteplici, e il nucleare militare ha ripreso di prepotenza il suo primato, almeno cronologico, e guerra russo-ucraina e medio oriente hanno confinato nei titoli di coda Baku e il Te deum all’energia fossile. Senza lo spettro di un’ora X, si potrebbe cercare un conforto, se non al proprio tempo di vita ormai scaduto, a quello delle generazioni future umane e degli altri animali, nella riscoperta della buona ragione dell’anakyklosis, e delle sue versioni ricorrenti (è comico che siccome destra e sinistra non esistono più, il partito dei Cinque stelle – Grillo, ti ha ucciso un uomo morto! – si sia appena dichiarato “progressista”, come se esistesse il progresso, e fotografandosi in rosso-bruno con Sahra Wagenknecht e il suo eponimo partito). Sono andati a farsi fottere i “Mai più”: mai più Hiroshima, mai più Auschwitz, mai più il terrore stalinista e i genocidi di ogni parte. Avevamo appena smobilitato l’invenzione dell’Italiano brava gente additando il modello esemplare dei conti tedeschi col passato nazista, e le elezioni regionali in Germania hanno resuscitato lo spettro robusto di quel passato. Il vincitore relativo del primo turno rumeno è un ammiratore del nazifascismo razzista di Ion Antonescu e della Russia di Putin: non vorrete vederci una contraddizione.
L’anaciclosi, l’idea delle tre forme di governo e delle rispettive tre degenerazioni non poteva immaginare un “mai più”, e nemmeno un progresso – salvo aggiungervi qualcosa di esteriore, come Vico con la provvidenza. La saggezza di quella idea e delle sue variazioni, che permetteva di non illudersi troppo nei tempi benigni e di non disperarsi senza conforto in quelli maligni, poteva avere un difetto, rispetto al nostro mondo: di credere nella regolarità delle sue fasi, lo stesso difetto della dialettica ridotta a sistema. Un’altra parola-espediente per trarre e trarsi in inganno è quella di “ordine”: il vecchio e il nuovo ordine mondiale… E’ il tempo del disordine, e il disordine d’oggi non è il purgatorio dal quale uscire a riveder le stelle dell’ordine nuovo.
Adelphi ha appena pubblicato nella Piccola Biblioteca alcuni testi brevi di Benedetto Croce, a cura di Michele Ciliberto, col titolo “Indagini su Hegel”. Già editi, ma qui accessibili, specialmente uno inaspettato, in cui il vecchio Croce – 82enne, la cosa mi commuove – scrive una “novella” ingenua, inscenando l’incontro fra un viaggiatore napoletano e il vecchio Hegel. Il napoletano mostra la propria devozione alla filosofia hegeliana e insieme argomenta arditamente la propria critica, benevolmente ascoltata dal maestro. Il napoletano è lui, Croce, che così rende omaggio al Hegel “vivo”, filosofo, e lo libera, crede di liberarlo, dall’Hegel morto, l’architetto di sistema, e se ne riappropria in nome dello storicismo assoluto. Che si consolava anche anche lui di una sua provvidenza.
Monarchia, aristocrazia, democrazia si corrompono in tirannide, oligarchia, demagogia – (oclocrazia, “populismo”…). Oppure si attorcigliano in combinazioni imbastardite, che lasciano via via a confronto solo autocrazie e oligarchie. Quanto a democrazia e occidente, erano due desideri, diventano due ricordi, e chissà se abbiano ancora la forza di muovere qualche animo.