Il Cambridge Dictionary registra uno slittamento semantico fondato sulla convinzione che l’espressione di un’immagine mentale possa modificare a piacimento il mondo esterno e influire sulla realizzazione dei propri desideri. Siano essi pronunciati ad alta voce o scritti su TikTok
Noi italiani potremmo scomodare addirittura Dante per commentare la parola del 2024 scelta dal Cambridge Dictionary. Nel ventiquattresimo canto del Paradiso, il poeta viene infatti sottoposto a un’interrogazione catechistica di San Pietro, il quale, per rompere il ghiaccio, lo incoraggia: “Di’, buon cristiano, fatti manifesto: / fede che è?”. La parola dell’anno è manifest, apparsa per la prima volta in inglese proprio nel Trecento. E’ attestata in Chaucer, che la scrive manyfest e la utilizza come aggettivo per indicare ciò che è evidente, lampante; del resto, l’etimologia latina rimanda all’idea di flagranza di reato poiché c’è dentro manus: è reo manifesto di un crimine chi viene colto con le mani nel sacco. Nello stesso senso il termine viene usato da Shakespeare fino a che, intorno all’inizio del Settecento, diventa un sostantivo con una curiosa accezione commerciale: il manifest è la distinta, la bolla accompagnatoria che elenca i contenuti di una spedizione.
Da lì il termine inizia quindi a venire utilizzato per indicare le dichiarazioni di intenti (ad esempio nell’affissione di un manifesto pubblicitario o propagandistico), esposte per controllare che corrispondano alla realtà: quello che per noi si chiama “programma elettorale” di un partito, in Inghilterra è un denso volumetto dai contenuti dettagliati cui viene, ancora oggi, dato nome di “manifesto”. Mettendo genialmente insieme le due accezioni, a metà Ottocento il giornalista e politico John O’Sullivan rese celebre il “destino manifesto” degli Stati Uniti, quello di espandersi verso il west.
Perché una parola che ha settecento anni torna improvvisamente alla ribalta? Il Cambridge Dictionary ha specificato non trattarsi né dell’aggettivo né del sostantivo: manifest è un verbo che significa “utilizzare metodi quali la visualizzazione e l’affermazione per immaginare di conseguire qualcosa che si desidera, nella credenza che ciò ne renda più verosimile la realizzazione”. Ben centotrentamila persone hanno cercato quest’accezione sul vocabolario online, incuriosite dalla pratica del manifesting, ovviamente di tendenza su TikTok, autorevolmente propugnata da Dua Lipa e altri vip. Chi ha scelto la parola del 2024 ha dunque voluto registrare un nuovo slittamento semantico: non più ciò che è evidente, non più la dichiarazione di intenti, bensì la convinzione che l’espressione di un’immagine mentale possa concretamente plasmare la realtà.
Quando un paziente fece cenno a questa prospettiva, Freud appuntò preoccupato la diagnosi “onnipotenza dei pensieri”. E’ ciò che gli psicologi hanno successivamente iniziato a definire pensiero magico, dando un nome forse troppo accattivante a uno stato patologico: talmente diffuso, ormai, che invale comunemente l’attività di scrivere o pronunciare ad alta voce i propri desideri tot volte al giorno, confidando di influire sulla loro realizzazione; talmente diffuso che il comunicato stampa del Cambridge Dictionary include il parere di uno psicologo, volto a mettere in guardia da questa pratica pseudoscientifica e compulsiva.
Lo slittamento semantico di manifest è sintomo del mutato rapporto fra il pensiero e la realtà. Chaucer, Shakespeare e O’Sullivan avevano in comune il vivere in tempi sì molto diversi ma convinti del principio per cui fosse la realtà, con la sua manifesta evidenza, a influire sul pensiero. Noi e Dua Lipa viviamo invece in un’epoca in cui si dà per assodato che sia il pensiero, con la propria intensità, a potersi manifestare nel mondo esterno, modificandolo a piacimento. Ebbene, torniamo a Dante, che San Pietro invita a “farsi manifesto”, cioè a rivelare ciò che sa ed è. Dieci versi dopo, gli risponde così: “Fede è sustanza di cose sperate / ed argomento delle non parventi”. Lui lo diceva riferendosi alla vita eterna e alla divinità; ora che alla vita eterna non si pensa e la divinità viene ignorata, le cose sperate e le non parventi sono soltanto le nostre brame di successo, le nostre illusioni di felicità dozzinale.