Il membro più anti-forcaiolo dell’attuale parlamento, Enrico Costa, è tornato di recente in Forza Italia. Le sue opere di questi anni lo sollevano da ogni sospetto di viltà. Ma la verità è che sono tempi duro per il garantismo
Ho aspettato per tutta la settimana – un po’ come Nanni Moretti davanti alla tv – che il membro più anti-forcaiolo dell’attuale parlamento, il deputato Enrico Costa, tornato di recente da Azione a Forza Italia, dicesse “qualcosa di garantista” in faccia al sottosegretario Delmastro. Non lo ha fatto, e avrà avuto le sue ragioni: le sue opere di questi anni lo sollevano, per quel che mi riguarda, da ogni sospetto di viltà. Stima immutata. Sono pressoché certo, tuttavia, che se Costa fosse stato ancora in Azione avrebbe che dico parlato: tuonato, gridato, ululato. Nel frattempo, leggendo sul Dubbio di mercoledì una pagina a firma di Extrema Ratio, un’associazione di giovani paladini del diritto penale liberale alla quale sono iscritto (e invito il lettore a fare altrettanto), ho trovato questa osservazione desolante: “Sono duri i tempi per il garantismo se, davanti a tanto panpenalismo, l’ala più liberale della maggioranza è inerte” (dell’opposizione neanche a parlarne). Il punto mi pare questo: per quanto possa non piacerci, i principi garantisti e liberali recedono quanto più ci si allontana dalla logica proporzionale, perché l’attuale bipolarismo tira fuori il peggio da entrambi gli schieramenti. Il progetto di fare il lievito liberale nei due impasti populisti – che accomuna i resti del fu Terzo polo, escluso il benintenzionato Marattin – ha il solo effetto di gonfiarli, mantenendoli altrettanto indigesti. Amici liberali e garantisti, non c’è alternativa: se non vogliamo restare digiuni, dobbiamo farci da soli la nostra pagnotta.