I singoli individui rappresentano senz’altro il valore più alto della comunità politica. Essendo liberi, gli uomini debbono poter perseguire i propri interessi, ma, non essendo l’uomo “un’isola”, i legami con gli altri incidono profondamente sulla nostra identità individuale e sulla nostra capacità di essere liberi
Se all’inizio del secolo scorso, la cultura europea era alle prese col conflitto tra Kultur e Zivilisation, diciamo pure, tra primato dell’uomo e sviluppo tecnologico, ragione critica e ragione strumentale, all’inizio del nuovo secolo questo conflitto, mai risolto, sembra lasciare il posto allo sgretolarsi di gran parte delle forme di vita culturali, sociali e politiche sulle quali l’Europa e l’occidente hanno costruito la loro fortuna. Tra queste, soltanto la scienza e l’apparato tecnologico sembrano aver consolidato le proprie posizioni, mentre famiglia, comunità, liberalismo, democrazia, tanto per citarne alcune altre, sembrano aver perduto sia i loro connotati che i loro reciproci legami. La famiglia, pluralizzata nelle sue forme, è ormai ridotta prevalentemente a un luogo di soddisfazione di desideri e interessi individuali; parlare di comunità politica o di qualsiasi forma di appartenenza comunitaria che non sia quella tipica dei tifosi da stadio è diventato un anacronismo; la crescente atomizzazione degli individui va di pari passo con processi più o meno marcati di tribalizzazione e con la progressiva perdita del gusto della libertà e dei suoi spazi; la cosiddetta opinione pubblica, sempre più colonizzata dal tribalismo dell’ideologia woke ma non solo, sta diventando soprattutto una forma di repressione della libertà di pensiero; quanto infine alla democrazia, essa, anche grazie alla saldatura sempre più stretta con l’apparato economico-tecnico-scientifico, sta diventando un potere talmente pervasivo da far pensare più ai regimi totalitari che a quelli liberali. E non è tutto.
Dalla sacrosanta neutralità etica e religiosa dello stato liberale abbiamo dedotto la neutralità etica e religiosa dei cittadini, dei sistemi educativi e della vita sociale in generale. Il primato della persona e della sua libertà, che trovava nei corpi intermedi della società la sua più naturale espressione, viene come sostituito da contrapposte forme di universalismo individualistico astratto e di comunitarismo chiuso, che finiscono entrambe per togliere il terreno sotto i piedi all’umana libertà e ai suoi indispensabili presupposti comunitari. Emblematica in proposito la crisi della famiglia, la prima comunità dove si imparano la libertà, la responsabilità, il rispetto per gli altri, l’autodisciplina, la solidarietà: tutte virtù senza le quali è assai difficile che possa funzionare una democrazia liberale.
Quando si parla di comunità e di corpi intermedi all’interno dello stato, giova inoltre ricordare che essi, almeno in uno stato liberale, non esprimono in primo luogo un’istanza d’ordine e di sicurezza, come pensano in molti, quanto piuttosto un’istanza di limitazione del potere. Come ha insegnato von Hayek, l’ordine sociale scaturisce spontaneamente dal gioco dei molti fattori che sono all’opera nella società, non può essere la prestazione di questo o quel sistema sociale, meno che mai è qualcosa che si costruisce a tavolino. Di qui l’imprevedibilità, la contingenza, l’unicità, l’indeterminabilità dei fenomeni sociali, nonché un apprezzamento importante dell’istanza comunitaria a favore delle libertà individuali, come una sorta di condizione che le rende realmente possibili.
Se è vero, secondo il famoso Dictum di Wolfgang Bӧckenfӧrde, che lo stato liberale vive di presupposti che da solo non è in grado di garantire, allora vuol dire che libertà individuali e comunità, dove le libertà possono concretamente realizzarsi, non sono termini antitetici, bensì complementari. I singoli individui, le singole persone rappresentano senz’altro il valore più alto della comunità politica; essendo liberi, gli uomini debbono poter perseguire liberamente i propri interessi: tuttavia, non essendo l’uomo “un’isola”, i legami con gli altri, gli usi e i costumi della comunità nella quale siamo nati e di quelle nelle quali a vario titolo viviamo e agiamo incidono profondamente sulla nostra identità individuale e sulla nostra capacità di essere liberi. Quanto allo stato, esso deve essere “minimo”, nel senso di non essere pervasivo nei confronti della vita, della proprietà, della libertà degli individui, e nemmeno nei confronti dell’autonomia delle comunità e dei corpi intermedi, ma deve essere anche forte abbastanza da impedire i soprusi che gravano sugli individui e sulle comunità. Ma domando e mi domando: esiste ancora questa consapevolezza di che cosa dovrebbero essere una cultura e istituzioni liberali? Io credo di no. Nel frattempo intorno a noi europei (per ora soltanto intorno) infuriano due guerre; l’Europa potrebbe non riuscire a reggerne il peso militare e politico; Putin e il Patriarca ortodosso di Mosca parlano dell’occidente più o meno come l’ayatollah iraniano Khamenei; al di là dell’Atlantico non è per nulla chiaro che cosa farà il neoeletto presidente Donald Trump; il cosiddetto multipolarismo rischia di diventare soprattutto anarchia; persino la Chiesa cattolica sembra in balia degli eventi e di vane parole. Tante ragioni in più per riflettere seriamente su chi siamo e su cosa vogliamo diventare. Con realismo, con fede (chi ce l’ha) e senza piagnistei.