Metti Monica Vitti sulla Torre Galfa. Il reportage di Sergio Strizzi

Gli scatti sia in bianco e nero che a colori restituiscono attraverso il corpo e lo sguardo irresistibile dell’attrice la pienezza e la consapevolezza di un tempo frenetico, ma anche incredibilmente denso e vissuto

Inaugurata un anno prima del ben più noto Grattacielo Pirelli, la Torre Galfa pur detenendo fino al 1966 anche il record di edificio più alto dell’Unione Europea, ha sempre vissuto in ombra rispetto al grattacielo opera di Gio Ponti che insieme alla Fiat Cinquecento e all’autostrada del Sole ha simboleggiato meglio di ogni altra cosa il miracolo italiano degli anni Sessanta. Al contrario la Torre Galfa progettata dall’architetto Melchiorre Bega visse le vicissitudini del suo committente, il cavaliere Attilio Monti che da proprietario dell’Eridania visse una stagione sola di gloria al fianco dei ben più solidi Angelo Moratti e Edoardo Garrone.

Tuttavia nella sua fredda razionalità la Torre Galfa rappresenta ancor meglio quella pratica del lavoro ragionieristico meneghino fatto di orari e puntualità, di fettina panata e di nebbia al primo freddo. La zona, quella della Stazione Centrale, in perfetto pendolarismo lombardo che dalla provincia portava forza lavoro negli uffici illuminati al neon della pragmatica Milano. Abbandonata per decenni poi resuscitata dal collettivo di Macao in un tardo rigurgito fuori tempo alla berlinese e poi infine affidata a una rigenerazione che tutto abbellisce e restituisce al mercato come se si fosse invece a New York, Abu Dhabi o a Utrecht a seconda dei gusti e delle tendenze di chi osserva dal basso lo schieramento lucido e riflettente dei vetri nuovi.

Tuttavia la Torre Galfa (originariamente Galfa 99) con l’irriducibilità di un nome che sa di idrocarburi, petrolio e produzione meccanica non può sfuggire da un’idea di modernità decisamente priva di leggerezza, ma piuttosto fatta di alienazione e fatica, di capitalismo pesante e incomunicabilità come mostrano le meravigliose foto di Sergio Strizzi che ritraggono un’inedita Monica Vitti, già musa di Michelangelo Antonioni e nel 1960 da poco star internazionale dopo l’interpretazione da protagonista ne L’avventura.

Gli scatti del reportage di Strizzi riemersi grazie alla cura delle figlie Melissa e Vanessa compongono un elegante volume edito da Postcart con introduzione di Daniela Brogi dal titolo Un giornata con Monica Vitti. Gli scatti sia in bianco e nero che a colori restituiscono attraverso il corpo e lo sguardo irresistibile di Monica Vitti la pienezza e la consapevolezza di un tempo frenetico, ma anche incredibilmente denso e vissuto. Lo sguardo alternativamente intenso e divertito di Monica Vitti apre l’orizzonte su un’architettura essenziale, ma mai arida. Una giornata di gioco in un tempio del lavoro che pure rivela in quella seriosità operosa anche una sorpresa, uno stupore sincero per una ricchezza allora nuova e in buona parte improvvisa. Un desiderio di spasso e di divertimento che si oppone a una tensione inopportuna quanto obbligatoriamente presente. Un peso e un malessere da lasciare sullo sfondo degli occhi di Monica Vitti.

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